Dal 27% all’1% di dispersione scolastica. Lo splendido esempio della scuola Sperone-Pertini di Palermo. La dirigente Di Bartolo: “Così ci siamo riusciti” (orizzontescuola.it)

di Andrea Carlino

Nel giorno dell’approvazione da parte del governo 
del Dl Caivanano,

il provvedimento volto al contrasto del disagio giovanile, della povertà educativa e della criminalità minorile, focus di Orizzonte Scuola riguardo il problema della dispersione scolastica e la riqualificazione di un territorio. Spazio all’intervista alla dirigente scolastica dell’istituto comprensivo Sperone-Pertini di Palermo, Antonella Di Bartolo.

Lo Sperone, alla periferia sud-est del capoluogo siciliano, ha conosciuto anni di grave dispersione scolastica, con un triste picco del 27,3% registrato dieci anni fa. Ma sotto la guida energica e visionaria della dirigente scolastica e del suo team, il panorama scolastico del quartiere è stato radicalmente trasformato. Oggi, la scuola del quartiere, che un tempo rischiava la chiusura, brulica di vita e la percentuale di dispersione è stata ridotta all’1%.

“Da dieci anni lavoriamo in un territorio complesso”, condivide la dirigente scolastica. E mentre la situazione di partenza era sconfortante, la reazione della scuola è stata immediata e proattiva. Insieme, la squadra didattica ha elaborato strategie mirate e personalizzate per combattere la dispersione, considerando ogni singolo studente e le proprie esigenze specifiche. La collaborazione con le famiglie è stata fondamentale per raggiungere tali successi.

(Nella foto la dirigente scolastica convince una famiglia a portare i figli a scuola)

Preside Di Bartolo, da dieci anni lavora in una scuola in un quartiere ad alta dispersione scolastica. Quali strategie ha messo in atto per contrastarla?

Mi permetta di coniugare il verbo al plurale, perché una preside da sola non può fare nulla: da dieci anni lavoriamo in un territorio complesso, il quartiere Sperone alla periferia sud-est di Palermo, in cui la dispersione scolastica era un problema. Dieci anni fa la percentuale di dispersione scolastica era molto, troppo alta per un paese civile: pari al 27,3%. La mia reazione è stata di sorpresa e incredulità. Tutti insieme abbiamo ragionato su come porre rimedio a questa situazione inaccettabile. Ci siamo messi al lavoro su più linee d’intervento. Lo Sperone è un quartiere che in qualche modo si presta alla dispersione scolastica, in cui buona parte della popolazione vive una situazione di disagio economico, sociale ed educativo e in cui la tentazione è di non vedere l’istruzione come un bisogno primario, come un diritto, ma bensì come un dovere o qualcosa di cui si può addirittura fare a meno. Grazie al lavoro continuo e quotidiano di tanti docenti, del personale amministrativo e dei collaboratori scolastici, abbiamo affrontato tutto con uno spirito di squadra. Abbiamo messo in atto importanti misure di sistema accanto a azioni quasi sartoriali, a misura di ciascun bambino e di ciascuna bambina e soprattutto dei loro genitori. E’ anche capitato di andare a recuperarli a casa, o per strada. Oggi nel nostro istituto la dispersione scolastica è pari all’1%, ma siamo consapevoli che questo risultato -di cui siamo orgogliosissimi- va difeso, possibilmente ulteriormente migliorato, perché se anche solo un bambino su 100 non frequenta la scuola è gravissimo, è inaccettabile.

Stiamo anche provando a lavorare sulla qualità dei processi formativi, quindi al contrasto della dispersione scolastica ‘implicita’, quella relativa alla fragilità degli apprendimenti. Consapevoli che tutti i processi positivi, i circoli virtuosi che in questi anni si sono attivati, vanno sostenuti e nutriti. Non possiamo distrarci. Dobbiamo coltivare queste alleanze con i nostri bambini, le nostre bambine e le loro famiglie, con amore e cura, con una disposizione d’animo e professionale che ci consenta di mantenere e ulteriormente migliorare questi risultati. Dietro ogni problema di dispersione scolastica ci sono vite umane. Giovani vite, ma anche più adulte, che sono quelle dei genitori. Non ci sono ricette e non c’è una procedura standard per contrastarla. Ma ci sono tanti modi e tante strategie che vanno dall’acquisizione o dal rafforzamento delle competenze disciplinari, per sentirsi a proprio agio nel contesto scolastico, alla creazione di un ambiente accogliente, piacevole e motivante in cui è bello stare. Moltiplicare occasioni e opportunità, attività curricolari e extrascolastiche, facendo leva sulla motivazione e sullo stare bene a scuola. Insomma, a scuola si fanno cose troppo belle per potermele perdere…

Qual è l’azione intrapresa che ricorda maggiormente? 

La riconquista del plesso scolastico Sandro Pertini, destinato alla chiusura. È stato possibile con una idea un po’ incosciente e quasi visionaria che era quella di rifondare una scuola media che stava per chiudere partendo dalla scuola dell’infanzia, che non c’era. Abbiamo ricreato un rapporto virtuoso con il quartiere dando testimonianza di lavoro incessante e di serietà, i cui frutti erano tangibili, e che si concretizzavano in una scuola rigenerata al servizio del quartiere, in aule funzionali, in arredi scolastici, in due sezioni di scuola d’infanzia diventate già l’anno successivo tre, adesso addirittura quattro, cui negli anni si sono aggiunte due sezioni di scuola primaria, con la scuola media che negli anni è passate da 5 a 18 classi. Il quartiere ha colto quanto impegno ci stessimo mettendo nel restituire una scuola alla comunità e ha collaborato subito. Abbiamo stretto un’alleanza con i cittadini dello Sperone, come nel momento in cui abbiamo chiesto aiuto agli esercenti commerciali per raccogliere le iscrizioni per una scuola dell’infanzia che ancora doveva nascere. Era questo l’impegno che avevo preso con l’assessore all’Istruzione del Comune di Palermo di quel periodo. Non c’erano nemmeno liste d’attesa. Un dato di fatto particolarmente grave, vedendo poi i bambini di età scolare per le strade del quartiere. Si è lavorato sulla consapevolezza del diritto a frequentare la scuola, a partire dalla scuola dell’infanzia. Quando un diritto viene offerto, quel diritto viene riconosciuto ed è esercitato. In questo caso penso che la scuola abbia guidato i cittadini più adulti in un percorso di crescita e consapevolezza dei propri diritti di cittadinanza. Spesso si parla di bambine e di bambini come cittadini del futuro, invece loro sono cittadini dell’oggi, con pieni diritti. Questo lavoro è diventato significativo in un quartiere che non offre nulla per i bambini, in una città che non è a misura di bambino. E il quartiere Sperone lo è ancor meno.

C’è stato un momento in cui voleva mollare tutto?

All’inizio, dieci anni fa, nelle prime due settimane, tornando a casa in macchina piangevo. Non mi sentivo in grado di affrontare la situazione che mi si era posta davanti. Avevo fatto il concorso per diventare preside avendo studiato sui manuali. Nei quartieri Sperone e Brancaccio in cui insistono i diversi plessi dell’Istituto – sono 7 plessi per 1200 alunni – dieci anni fa la popolazione scolastica era la metà. C’erano tanti problemi. Era una scuola ridotta a brandelli, con una dispersione scolastica altissima e il rapporto con il territorio totalmente rotto. A luglio 2013 c’era stato perfino un incendio doloso a scuola. Il piano superiore del plesso Pertini non aveva neanche le finestre. In un edificio enorme venivano ospitate solo 5 classi di alunni ripetenti. Nell’unica prima media c’erano 11 alunni quindicenni e sedicenni. Era tutto diverso rispetto a quello che avevo studiato sui manuali per diventare preside. I libri non ci preparano mai al lavoro concreto, però, onestamente, quello per me fu un battesimo di fuoco. Quel plesso scolastico che doveva essere chiuso sembrava il set cinematografico del Bronx o un set di guerra. C’erano le lavagne al posto delle porte dei bagni. C’erano buchi alle pareti. Non c’era un vetro sano alle finestre. Nulla sembrava somigliasse all’idea che tutti abbiamo di scuola. C’era una situazione contabile-amministrativa gravemente ammalorata e una dispersione scolastica che andava su cifre veramente inimmaginabili. Negli anni ci sono stati, poi, dei momenti difficili, ma mai mi è balenata l’idea di mollare tutto. Come nel caso di un raid che ha devastato l’interno di un plesso scolastico durante il periodo Covid o quando abbiamo trovato una bottiglietta per fumare il crack, su una cattedra, qualche mese fa. È stato un brutto segnale ma non abbiamo pensato di mollare, tutt’altro. Il problema del quartiere Sperone non è soltanto lo spaccio di droga, ma è la deprivazione di servizi, l’assenza di cura e di amore, che esita in mancanza di prospettive e nella tentazione della rassegnazione. Lo Sperone è un quartiere che ha ricevuto solo tante promesse, abitato da tantissime persone splendide. È un quartiere dalle grandi potenzialità, che potrebbe vivere della sua costa, del suo mare e di attività turistiche correlate, di ristorazione e accoglienza. Ma che vediamo costantemente deprivato di possibilità.

Pari opportunità: possibilità per le donne del quartiere fornite dalla scuola

Il rapporto con le mamme e le nonne del quartiere è tra i legami più forti che la scuola ha stretto in questi 10 anni. Un elemento importante di questi 10 anni come preside allo Sperone, ma anche di mia crescita personale, è il rapporto con le persone, senza le quali non puoi cambiare nulla. Molte donne del quartiere sono figlie di una cultura patriarcale che le ha private della possibilità d’istruzione. Molte di loro hanno conseguito la terza media insieme a noi, preparandosi con l’aiuto delle insegnanti della nostra scuola e sostenendo l’esame di licenza media proprio all’interno dell’Istituto. Qualche volta insieme ai loro figli, studiando accanto a loro. Nel quartiere c’è anche il problema grandissimo dell’autodeterminazione delle donne, che passa dall’istruzione e dal reinserimento lavorativo. Gli asili nido su cui abbiamo insistito tanto, tuttora assenti, che non ci stanchiamo di chiedere per il quartiere, non riguardano il nostro Istituto Comprensivo, ma per noi fanno parte di quell’assunzione di responsabilità come amplificatore di voce del quartiere che la scuola ha interpretato in questi anni. Si combatte la violenza di genere non soltanto con la sensibilizzazione di uomini e donne al rispetto di sé e dell’altro o con l’educazione sentimentale e sessuale, ma anche assicurando alle donne delle condizioni di autonomia e indipendenza. Quest’autonomia che è anche fatta di fasciatoi, asili nido e servizi per la primissima infanzia. Nel quartiere ci sono donne che adesso lavorano, che sono anche cresciute nella consapevolezza di sé grazie alla scuola frequentata dai loro figli, e questo mi pare bello e importante. Abbiamo pensato a dei percorsi a loro dedicati e negli anni, uno dei progetti che ricordo con maggiore piacere, per il tipo di offerta data, è il progetto ‘Fa.C.E.’ (Farsi comunità educanti) promosso dalla Fondazione Reggio Children, finanziato per tre anni dall’impresa sociale ‘Con i bambini’: prevedeva percorsi di formazione per genitori e servizi educativi di qualità per la primissima infanzia 0-6 anni. Abbiamo potuto offrire attività di consulenza con pediatri e ostetrici, attività ludiche e anche educative con genitori e bambini insieme, gite in fattoria, massaggio infantile e danza in fasce e tanto altro. Il tutto realizzato in orario extrascolastico tenendo aperta la scuola anche il sabato mattina. Tante occasioni importanti di condivisione e di consolidamento della percezione di auto-efficacia di numerose giovani mamme.

A proposito di azioni significative: la “Piazza delle parole”

Ricordo il primissimo progetto di ampio respiro fatto con la Fondazione Reggio Children e ENEL cuore onlus, che si chiama ‘Fare scuola’, grazie al quale abbiamo creato un anfiteatro, che abbiamo chiamato ‘Piazza delle parole’, all’interno del Plesso Puglisi. Abbiamo creato una piazza per il quartiere, che ha soltanto crocevia e non ha piazze o luoghi d’incontro. La scuola è diventata un luogo di comunità, un’incubatrice di idee, di proposte del quartiere, che hanno riguardato la lettura partecipata del piano di riqualificazione urbana, la proposta di un nuovo asilo nido dopo la demolizione di un asilo divenuto un rudere (in 40 anni mai entrato in funzione), la progettazione di un’area giochi per il quartiere. Sì, la scuola in questi 10 anni si è fatta piazza. Non a caso: l’idea che ci guida è che l’educazione è partecipazione e che l’educazione è un fatto pubblico. L’educazione delle nostre bambine e dei nostri bambini deve riguardare il dibattito pubblico a prescindere dalle posizioni ideologiche e partitiche. Il presente e il futuro ci riguarda tutti. Dovremmo tutti ragionare e dare il nostro contributo, da ogni settore, perché i bambini, i ragazzi sono di tutti. Il paradosso è che si delega tanto alla scuola e in particolar modo ai docenti, che fanno già un gran lavoro sul campo, e poi la scuola viene costantemente deprivata di risorse. L’Italia ha la percentuale di PIL, come investimento nella scuola, più bassa rispetto agli altri paesi europei; al Sud con un numero esiguo di classi a tempo pieno nel primo ciclo di istruzione, a conti fatti si perde più di un anno di scuola. E poi il grande tema dell’edilizia scolastica: siamo inondati da dispositivi informatici, ma rischiamo che i soffitti ci cadano addosso. Una nazione che dice di puntare sul futuro non dovrebbe tollerare che la propria gioventù rischi quotidianamente la propria incolumità frequentando scuole insicure. E poi c’è il tema della mancanza di cultura dello spazio pubblico, che si riverbera anche all’interno delle strutture scolastiche. Grazie al programma europeo Erasmus plus, portando i nostri ragazzi all’estero, abbiamo potuto vedere scuole non sempre bellissime, ma di certo sicure, progettate e attrezzate non solo come luoghi di apprendimento, ma anche come contesti di dialogo e comunità, in cui gli spazi esterni sono utilizzati e valorizzati al pari di quelli interni. Luoghi di socialità, spazi per staccarsi dai dispositivi informatici, che non sono diabolici, ma il cui abuso, o uso con modalità sbagliate, può diventare un problema.

Innovazione sociale o innovazione digitale? 

Il nostro Paese ha bisogno di un sistema di istruzione adeguato alla contemporaneità. L’innovazione non bisogna confonderla o limitarla all’uso dei dispositivi tecnologici. Si può innovare con pratiche didattiche, con un approccio metodologico innovativo. A scuola si possono perfino attivare innovazioni sociali, dipende molto dai contesti. Nella nostra scuola effettivamente abbiamo fatto anche ‘animazione sociale’, che è quello che è stato riconosciuto come percorso meritevole nel 2019 con il Premio ‘Tullio De Mauro’, all’interno del quale ho ricevuto il riconoscimento come ‘dirigente innovatore’, anche se in realtà il premio è da condividere con l’intera comunità scolastica e territoriale. Cos’è l’innovazione sociale? È l’insieme dei processi di consapevolezza, di ragionamento e di coinvolgimento del quartiere sul quartiere, compiuti insieme ai bambini e alle bambine e alle loro famiglie. Una sorta di empowerment non soltanto dei bambini e degli insegnanti, ma di quartiere. Con il progetto ‘Abitare il paese- La cultura della domanda’, con il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Architetti, i ragazzi hanno ragionato sul piano regolatore della città concentrandosi sul loro quartiere. Hanno immaginato e disegnato il loro quartiere, non solo come lo vorrebbero, ma come sarebbe possibile. Hanno lavorato alla progettazione di un asilo nido e di uno spazio pubblico a misura di bambini, ragazzi e anziani con ‘Lab Sperone Children’ insieme all’Ordine degli architetti di Palermo, l’Accademia di Belle Arti e l’Università di Palermo. Hanno immaginato una nuova vita per il Centro dei Servizi Sociali dello Sperone, chiuso dal 2001 e non restituito ancora al quartiere, ragionando in termini di flessibilità di uso di questo luogo.

“Percorsi di partecipazione verso nuovi immaginari”. Presente e futuro della Scuola e del quartiere Sperone

Tutta la comunità scolastica dello ‘Sperone-Pertini’ opera in un luogo bellissimo ma estremo, di fronte al quale puoi provare smarrimento e desiderio di fuga o provi a fare appello a tutte le risorse che hai; quelle che non hai, te le inventi. E quasi in maniera creativa ti inventi dei percorsi di partecipazione e rigenerazione. La prima volta che mi sono trovata a parlare della nostra esperienza scolastica in un luogo pubblico, dovevo presentare delle slide sui primi cinque anni di attività. Mi sono consultata con alcune insegnanti su come potessimo intitolare questo power point e quello su cui ci siamo ritrovate è stato: ‘Percorsi di partecipazione verso nuovi immaginari’. Ancora oggi questo titolo ci rappresenta. Continuiamo a nutrire percorsi di partecipazione, crediamo che l’educazione sia un fatto pubblico. Dobbiamo contribuire a costruire competenze e consapevolezze, per creare immaginari di futuro possibile e realizzabile. Non favole, ma qualcosa a cui potere tendere. Qualcosa intanto da desiderare, crederci e lavorare per realizzarlo, dando valore alla perseveranza e al sacrificio. Quando parliamo di contrasto alle mafie dobbiamo avere presente che la criminalità organizzata, che nel quartiere Sperone lucra con lo spaccio di droga, non si contrasta solo con attività investigative o con misure repressive, che sono assolutamente necessarie, ma si deve anche agire sia sul piano culturale che su quello occupazionale. Dobbiamo dare strumenti di libertà ai nostri bambini e alle nostre bambine. Strumenti che sicuramente risiedono nell’istruzione, ma anche nel poter avere possibilità di lavoro lecito, per affrancarsi dalla dipendenza e dall’illegalità.

Il murale da poco inaugurato è l’ultimo di una lunga serie. Com’è nato il progetto?

Il primo murale ‘Sangu e latti’ – attualmente ce ne sono 8 murales nel quartiere, da cui sono nati anche degli itinerari turistici – era stato proposto dall’Associazione L’Arte di Crescere e dall’artista Igor Scalisi Palminteri alla scuola per essere realizzato al suo interno. Molto semplicemente, ho pensato di riportare l’attenzione su quell’area dell’asilo nido su cui non si stava lavorando, e il cui cantiere non era mai partito malgrado le promesse. Il desiderio era, da un lato quello di contribuire a donare un’opera d’arte al quartiere e dall’altro far sì che il quartiere ricevesse dalla stampa e dagli amministratori un ritorno di attenzione, di cura e di impegno. E noi siamo lì ogni giorno, a presidio, siamo Stato, la scuola è presidio dello Stato nel territorio. Lo sappiamo e ce lo ricordiamo ogni giorno. Il collegio docenti all’inizio di questo nuovo anno scolastico è stato all’insegna degli articoli 3 e 54 della Costituzione, del discorso di Sandro Pertini quando parla di libertà ed equità sociale e alla figura di Padre Pino Puglisi, di cui ricorre quest’anno il trentesimo anniversario dal martirio e di cui cogliamo tutto l’impegno in termini etici per i bambini e le famiglie fragili. È un onore e una meravigliosa responsabilità continuare sul solco da lui segnato, che abbiamo il dovere di proseguire. Le periferie non hanno bisogno di commiserazione o di essere chiamate in altri modi, eufemistici, quasi a negarne i problemi. Hanno bisogno di sbracciarsi. Hanno bisogno di persone che lavorano con abnegazione, costanza e perseveranza e che coltivano l’ottimismo e l’autodeterminazione con un pizzico di visionarietà. L’ultimo murale che si chiama ‘Adduma’, realizzato dall’artista internazionale Millo, grazie all’alleanza creativa Sperone167 di cui la scuola fa parte, è particolarmente significativo, perché va ad accendere luci allo Sperone, quasi a ridare luce alle potenzialità già presenti nel quartiere. Ritrae significativamente un bambino che si fa strada tra i palazzi inerpicandosi su una scaletta molto ripida, che è la condizione che vivono molti bambini del quartiere Sperone. Per vedere la luce devono sollevare una pesante botola. È un’immagine che sottolinea quanto sia difficile essere bambini nel quartiere Sperone, e tuttavia che la luce è possibile accenderla e che abbiamo tutti il dovere di tenerla accesa. E se la lampadina si fulmina abbiamo il dovere di cambiarla.

Come sarà il nuovo anno scolastico?

Stiamo ragionando su alcuni aspetti della nostra attività didattica per provare a migliorarli: intendiamo rafforzare la collaborazione con il terzo settore in modo da “contaminare” approcci e pratiche e potenziare vicendevolmente le diverse professionalità;  prenderemo spunto dalle esperienze Erasmus in altre scuole in Spagna, Grecia, Polonia andando a svolgere più attività fuori dalle aule scolastiche, andando a prevedere più pause all’interno della giornata scolastica e sforzandoci di rendere ancora più interattivo e motivante, laboratoriale, il lavoro che facciamo in classe. Proveremo a puntare moltissimo sullo sport perché abbiamo visto quanto sia fondamentale per i nostri ragazzi e le nostre ragazze, da molteplici punti di vista. Lo scorso anno abbiamo iniziato delle attività continuative di atletica leggera, scoprendo autentici talenti. A breve sarà inaugurato un campo sportivo esterno per calcio a 5 e pallavolo, voluto dall’artista Cesare Cremonini e proveremo a strutturare un gruppo sportivo multidisciplinare maschile e femminile. Sarebbe bellissimo offrire costantemente attività sportive gratuite con allenamenti dentro e fuori dalla scuola, portando i nostri alunni e le nostre alunne al Centro Universitario Sportivo (CUS) per preparare i più promettenti a gare e competizioni regionali e nazionali. Sarà possibile reperire i fondi per uno scuolabus, per pagare gli istruttori, le trasferte? Sinceramente non lo sappiamo, ma ciò non ci impedisce di sognarlo. Soprattutto perché il quartiere non ha campi sportivi, non ha spazi pubblici a disposizione dei bambini e dei ragazzi. Non solo sport ma l’ideale sarebbe poter offrire ai nostri ragazzi anche opportunità legate alla musica, al teatro e alle arti visive in modo che ciascuno possa avere la possibilità di riconoscere un proprio talento o una vocazione e coltivarlo. Intanto siamo emozionati per il fatto che la prossima settimana abbracceremo nuovamente le nostre bambine e i nostri bambini, le ragazze e i ragazzi. Cresceremo insieme a loro, e sono convinta che insieme accenderemo ancora tante, tantissime luci.

Si ringrazia Lilia Ricca per la collaborazione alla stesura dell’intervista.

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