di Aldo Grasso
Padiglione Italia
La La Land(ini). Maurizio Landini, il leader della Cgil, ha confessato che ragiona ancora in lire e che si rifiuta di pagare 3.000 lire per un caffè al bar. In questa esplosione di modernità, è facile immaginare Landini che si prepara un caffè a casa con la cuccumella, secondo i classici suggerimenti di Eduardo in Questi fantasmi: «Il caffè me lo devo fare io stesso, con le mie mani».
Interrogato da La Stampa sulla contrarietà del sindacato alle «gabbie salariali» (differenziare i salari in base alle Regioni di residenza), Landini non ha risposto sul perché al Nord un caffè costi 1,50 euro e al Sud 0,90 ma si è limitato a suggerire una strada per risolvere le disuguaglianze: non andare al bar. E basta.
Gabbie
Landini che diserta i bar per i prezzi alti e dice no alle gabbie salariali
Il La La Landinismo non è solo una politica, la curvatura populista impressa alla Cgil che ha poco a che fare con la sua storia, è anche uno stato emotivo, un po’ sognante ed euforico, di chi esorcizza ancora l’europanico (la paura del trapasso monetario) con le ambizioni personali. Il La La Landinismo è l’idea di un sindacato movimentista che fa opposizione sociale con la caffettiera napoletana, un caffè che più lo mandi giù più tira su il populismo di Elly Schlein e quello di Giorgia Meloni.
Il loro eroe segreto è Nino Manfredi in Café Express, un venditore precarizzato di caffè sui treni del Sud: 300 lire l’uno.