La propaganda, la falsa equivalenza morale e i nazisti russi (linkiesta.it)

di

Churchill a Mariupol

Incontro con Asan Isenajiev e altri reduci della guerra di aggressione del Cremlino all’Ucraina, testimoni di barbarie subìte e portatori sani di spirito libero

Asan Isenajiev è un medico di etnia tatara di Crimea, musulmano, originario di Girey. Fuggito nel 2014 dalla persecuzione russa in seguito all’occupazione illegale della Crimea, Asan si è trasferito a Mariupol, nel sud est dell’Ucraina.

Quando i russi nel 2022 hanno preso d’assedio questa città cruciale per la loro criminale missione volta a «denazificare l’Ucraina», Asan ha prestato assistenza ai feriti e ai duemila resistenti chiusi dentro la grande acciaieria Azovstal.

Asan è diventato un personaggio noto in Ucraina, perché a un certo punto ha lanciato un appello al presidente turco Recep Erdogan per trovare una soluzione per gli assediati di Azovstal.

Al Veteran Hub di Kyjiv, nel Podil che è la zona bassa della capitale ucraina, Asan Isenajiev partecipa a una riunione con altri reduci e altri soldati della guerra difensiva ucraina contro la Russia, ciascuno dei quali ha una storia incredibile da raccontare: c’è il capitano Bohdan Kopchtov cui hanno sparato alla testa e alle gambe, ci sono Illarion Pavliuk e Volodymyr Yatsenko che fino all’invasione facevano lo scrittore e il produttore cinematografico di successo e ora sono soldati volontari, c’è l’infermiera di prima linea Kateryna Galushka che racconta che durante le operazioni di recupero dei feriti ucraini al fronte le è capitato più volte di curare anche i russi, cosa che dall’altra parte non succede perché la cura russa dei feriti ucraini si limita al “basta che respiri”.

«Non è una bella storia da raccontare – dice Kateryna – visto che noi salviamo le gambe dei russi e loro no. Noi siamo umani, ed è la cosa che ci distingue dal nemico».

Asan Isenajiev, il medico musulmano tataro di Crimea, tra tutti è il più schivo, il reduce che sta più in disparte nella stanza del Veteran Hub di Kyjiv.

Ecco perché.

Per ottanta giorni, Asan ha vissuto insieme con altre duemila persone senza acqua potabile, senza cibo, senza aria buona da respirare. E senza medicine con cui curare i feriti. Ogni trenta minuti lui e i duemila assediati sentivano i boati delle bombe pesanti lanciate dagli aerei. Nell’intervallo tra un bombardamento e l’altro era l’artiglieria a colpire, oppure le bombe a grappolo. E poi c’erano i cecchini pronti a freddare chiunque osasse mettere la testa fuori. Asan non ricorda nemmeno dieci minuti di silenzio in quegli ottanta giorni di inferno.

Ricorda però i seicento feriti che gli chiedevano aiuto, che urlavano, che imploravano ma che lui non poteva aiutare perché non aveva le medicine. L’unica cosa che Asan poteva fare era quella di svestire i morti per vestire i feriti, o per usare i brandelli di stoffa per bendare le ferite.

Quando gli ucraini hanno ricevuto l’ordine di ritirarsi, per evitare una strage ancora più grande, i russi hanno preso l’acciaieria e Asan è finito nel campo di Olenivka, dove il 27 luglio 2022 i russi hanno fatto esplodere la baracca dove si trovava. I suoi compagni sono morti. Asan è rimasto vivo, i russi intanto guardavano da lontano, fumavano, bevevano, scherzavano, nessuno si preoccupava di aiutare i feriti.

I pochi sopravvissuti della strage di Olenivka sono stati trasferiti in una prigione a Taganrog, dove Asan è rimasto per altri novantotto giorni. Solo a questo punto del racconto, Asan ha un sussulto: «Non vi posso raccontare niente di quella esperienza, ovvero la prigionia a Taganrog. Dico solo che che è stata molto pesante, terribilmente pesante, una cosa che non intendo raccontare. Sono rimasto prigioniero per novantotto giorni e scambiato a Capodanno del 2023. In confronto a Taganrog – dice – Mariupol era un parco divertimenti».

Gli chiedo perché, secondo lui, i russi si comportano così: «Essere crudeli è la loro natura – dice – Sono musulmano, tataro di Crimea. La mia famiglia è laggiù, ma non ho notizia di loro. So solo che i russi si presentano spesso in casa per interrogare e fare sopralluoghi».

Le ultime parole di Asan spiegano perché non possa esserci alcuna equivalenza morale tra l’aggressore e l’aggredito, in particolare tra questo aggressore e questo aggredito.

Gli aggressori hanno fatto quello che hanno fatto, mentre l’aggredito è un medico musulmano, appartenente alla minoranza dei tatari di Crimea, torturato, tenuto prigioniero per quasi sei mesi e così lucido da spiegare al giornalista che «Winston Churchill diceva che peggio del nazismo tedesco c’è solo l’antinazismo russo».

E anche che «i russi hanno creato il mito, la leggenda del nazismo ucraino per unire il popolo contro l’Ucraina. Il mito che gli ucraini siano nazisti è uno strumento di manipolazione dell’opinione pubblica russa, un modo per trovare un nemico comune da combattere. Questo nemico comune per loro è “il nazista ucraino”, e come capro espiatorio, come simbolo di questo nazismo, hanno scelto il reggimento Azov».

La natura dei crimini ripetutamente compiuti dai russi contro il giovane medico di Crimea – prima a Mariupol, poi a Olenivka, infine a Taganrog – si incrocia con le accuse di nazismo nei confronti della Brigata Azov create dalla propaganda a maggior gloria degli allocchi russi e dei fessi dei talk show italiani.

Ma la verità è che Asan Isenajiev è della Brigata Azov, e che i nazisti sono i russi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *