di Mario Lavia
Grandi classici
La segretaria del Pd mobilita i suoi per serrare i ranghi dopo la prima rottura con la minoranza riformista. Ma il rischio è di fare una replica più piccola dell’evento di piazza indetto dalla Cgil il 7 ottobre
Un grande classico, la manifestazione nazionale a Roma, come un vecchio standard di quelli che non possono non piacere, che funziona sempre, chiunque lo interpreti: e stavolta tocca a una movimentista vera, Elly Schlein, portare la sua gente in piazza in autunno, non si è capito bene il motivo specifico ma insomma è la solita scaletta, contro il Governo, per la sanità, la scuola, il lavoro, la casa e chi più ne ha più ne metta (speriamo ci sia spazio per una parola sull’Ucraina, ormai sparita anche dall’agenda politica del Partito democratico).
Vedremo se la mossa si rivelerà azzeccata, e d’altra parte di motivi per protestare contro il governo Meloni ce ne sono a iosa, e il periodo sarà favorevole visto che la legge di Bilancio si profila come o inutile o dannosa o tutt’e due.
Difficile ignorare le previsioni della Commissione europea che ha rivisto al ribasso le stime per l’Europa e per l’Italia che – ha detto il responsabile economico del Pd Antonio Misiani – «confermano purtroppo il rallentamento dell’economia europea, particolarmente brusco nel caso dell’Italia. Per evitare la stagflazione e rilanciare la crescita bisogna mettere da parte la propaganda e fare i conti con la realtà».
Il paradossale rischio però è di fare una manifestazione-replica più piccola di quella della Cgil del 7 ottobre lanciata da Maurizio Landini (mentre licenziava lo storico capo ufficio stampa Massimo Gibelli brandendo il Jobs act, ma questa è un’altra storia), ma Schlein non vuole restare a guardare, e dunque tutti in piazza a Roma: certo non potrà essere come il Circo Massimo di Walter Veltroni (ottobre 2008), un mare di gente, altri tempi, ma è tuttavia una bella prova per una leader che un po’ improvvisamente si trova a vivere un momento particolare e non facile.
«Si faccia aiutare», ha detto Graziano Delrio, consapevole del disagio che il partito sta vivendo in una situazione che appare immobile, con l’opposizione non in grado di impensierire Giorgia Meloni: che poi alla fine questo è il punto che genera un certo smarrimento.
La manifestazione di per sé tende a serrare i ranghi e far vivere quell’orgoglio di partito che si vede e soprattutto non si vede. Avendo, nel discorso di Ravenna, cambiato tono rispetto ai dissensi e alla minoranza, Schlein ritiene di poter rinsaldare l’unita interna. Ma ci riuscirà? Le critiche della minoranza, mai però messe nero su bianco così da superare le lamentazioni generiche, stanno aprendo qualche breccia anche presso i vecchi, certo con toni sfumati, dal già citato Delrio ad Andrea Orlando che in un’intervista a Domani chiede «un confronto su come far vivere il pluralismo in questa fase».
Ma la novità che sembra emergere riguarda il ruolo di Stefano Bonaccini in difficoltà a fare il capo della minoranza da presidente del partito e dunque di per sé super partes ed essendo poi oberato dal ruolo istituzionale di presidente dell’Emilia-Romagna, incarico per il quale non è escluso possa correre per la terza volta. Un cambio al vertice dei riformisti preluderebbe a un indurimento verso la segretaria. E non c’è, da questo punto di vista, manifestazione che tenga.