di Mario Lavia
Quattro e mezzo
La segretaria del Partito democratico ha mostrato tutti i limiti della sua leadership nell’intervista con Lilli Gruber e Massimo Giannini su La7. L’ultimo episodio di una crescente distanza con l’establishment che una volta la sosteneva
Un massacro. Nella puntata di giovedì sera di Otto e mezzo, Elly Schlein, la leader della sinistra italiana, è stata duramente messa in mezzo da due giornalisti di indiscussa fede di sinistra, Lilli Gruber e Massimo Giannini. Hanno fatto quello che devono fare i giornalisti, cioè mettere in difficoltà il politico di turno. Certo, ma non basta questo a spiegare il tono energico e gli sguardi velenosi che Lilli di solito riserva, che so, a un Matteo Renzi.
Sembrava, Lilli, il Nanni Moretti di “Palombella rossa” («Ma come parlaaaa?») rinfacciando a Elly una frase pronunciata al Tg della sera: «Lei oggi ha detto, parlando di Lampedusa, che è la dimostrazione del fallimento delle politiche di esternalizzazione del Governo. Ma chi la capisce se lei parla così?».
Il primo uppercut ha fatto male. Ha colpito Elly su un suo punto di forza, la freschezza, l’immediatezza, il superamento del politichese. Lei poi ha spiegato cosa intendeva dire ma ormai era troppo tardi: «Deve spiegarlo agli italiani», non a noi, infieriva Giannini.
Gruber poi non ha mai mollato l’osso, tutta tesa a far venire fuori che sull’immigrazione, al di là delle solite e scontate bordate a Giorgia Meloni, il Pd non ha una linea, Elly ha provato a imbastire un discorso – Dublino, Viktor Orbán, le Ong – ma il doppio misto Gruber-Giannini picchiava, la destra fa schifo okay e Marco Minniti è superato, e allora? Allora boh: ricette futuribili, poco comprensibili. Come se non sapesse cosa dire.
Non che la questione sia facile e se non sei un superprofessionista alla Massimo D’Alema, alla Matteo Renzi, alla Walter Veltroni, alla Pierluigi Bersani, almeno alla Dario Franceschini, non ne vieni fuori e resti alle corde mentre quelli menano in due («e se eravamo in tre te menavamo in tre», Alberto Sordi, “Riusciranno i nostri eroi”), con il direttore della Stampa sobrio ma inesorabile fino alla domanda sulla diminuzione delle spese militari con la penosa risposta «decideremo quando saremo al governo», Elly che va al tappeto impigliandosi nelle suo stesse parole. E sulla sanità, dove prenderete i soldi? Dalla lotta all’evasione fiscale: nemmeno Cirino Pomicino rispondeva così.
Ma a quel punto era in confusione: capita andar male in tv ma non in questo modo, non la giovane Elly. Non le è bastata la parlantina gentile e il sorriso stavolta un po’ forzato che le conosciamo per sovvertire l’andamento di una trasmissione aggressiva, tipo esame di maturità («Ma questa è una tortura!», ancora Moretti, “Ecce Bombo”) che forse segnala e suggella qualcosa che sta accadendo tra la leader del Pd e il mondo di riferimento giornalistico-intellettuale che l’ha supportata con convinzione scorgendo in lei la liberatrice dalle scorie renziane, riformiste e finanche veltroniane.
Gruber e Giannini sono due giornalisti di punta dello schleinismo vissuto appunto come atterraggio di ritorno del Pd sugli amati lidi della sinistra senza aggettivi, per questo fa effetto la loro delusione, persino la costernazione, davanti a una leader che «non è chiara, questo è il limite della sua segreteria» (Giannini dixit) – una sentenza che vale più di mille editoriali – su cosucce tipo l’immigrazione, il Jobs act, le spese militari (e meno male che non si è parlato di politica economica).
Quella stessa delusione che è alla base del silenzio su Schlein che da qualche tempo Romano Prodi osserva, così come tutto un giro intellettuale prodiano che ha smesso di esaltare la segretaria del Pd, si veda la freddezza dei commentatori del Domani, dell’Espresso, su su fino alla Stampa e soprattutto Repubblica, che pur restando il giornale di riferimento del Pd però non si spertica più nei clap clap che salutarono la vittoria di Elly alle primarie, mentre il Corriere semplicemente la ignora e persino Paolo Mieli ha riconosciuto che da Gruber «non ha fatto una gran figura» che detta da lui che la ama è il massimo della critica, Marco Damilano non ne parla e vola alto, non si leggono più pezzi a sostegno di varie note colleghe (Elly ha colpito molto le donne, le intellettuali, le giornaliste) che pure la esaltavano.
Se questa analisi è giusta vuol dire che per il Pd si apre un nuovo problema. Già totalmente espunto dalla Rai e odiato da Mediaset il partito di Elly Schlein perde credito persino nell’amica La7 e arranca molto nel rapporto con i grandi giornali. Ma il fatto nuovo è che a perdere appeal non è genericamente il Pd ma è lei, essendo chiaro che il problema non è solo e tanto nel non aver coltivato (e da tempo) un serio lavoro sull’informazione ma proprio nel disincanto rispetto a una leader di tipo nuovo che in una prima fase aveva riacceso quegli entusiasmi che ora vanno smorzandosi senza peraltro che se ne siano conquistati di nuovi, il che è tra le ragioni che spiegano perché il Pd «non schioda dal venti per cento» (Gruber).
E la domanda sorge spontanea: non è che tutto un certo coté intellettuale e giornalistico di sinistra sta mollando Elly Schlein? Forse la puntata di Otto e mezzo è stata un turning point. E tante discese politiche sono cominciate così.