di Phil
C'è insofferenza nel Pd di Elly Schlein
Cresce il disagio all’interno del Pd. Ma ora la novità è che il disincanto verso il ‘nuovo’ Pd di Schlein non riguarda più solo parlamentari della minoranza ma contagia anche i franceschiniani e gli zingarettiani.
Il casting è cominciato, sussurrano con circospezione i senatori del Pd in Senato, attenti a non farsi leggere neanche il labiale dalle sentinelle di Francesco Boccia. Il senso dei ragionamenti che circolano a Palazzo Madama è: “O la fermiamo o usciamo noi”, un bivio drammatico, a cui stavolta sarebbero arrivati anche esponenti di primissimo piano di Base Riformista.
Il rompete le righe è partito dopo la fine della famigerata puntata di Otto e Mezzo, con Elly Schlein trasformata in una metafora tardiva di “Amici miei” (la ‘supercazzola’). Giovedì scorso, dopo la comparsata da Lilli Gruber, le chat della minoranza sono esplose con un tasso di ‘cattiveria’ che nessuno è riuscito a tenere a bada.
La novità è che il disincanto verso il ‘nuovo’ Pd non riguarda più solo parlamentari della minoranza ma contagia anche i franceschiniani e gli zingarettiani. Già Nicola Zingaretti, l’ex presidente della Regione Lazio, che agli occhi dell’opposizione, ha acquisito il merito di aver intuito la parabola discendente, con quella frase intercettata a Ravenna e mai neanche smentita: “Con questa non arriviamo neanche al 17%”.
Ed è ciò che esattamente preoccupa anche Dario Franceschini, la novità è diventata semplicemente indeterminazione, un continuo cioè che rimanda ad un sequel di “Un sacco bello”, più che all’agone politico.
Quindi la fase dell’emergenza, che nel Pd non è mai del tutto disattivata, è entrata nel vivo delle operazioni. Un esito insoddisfacente (sotto il 22,7% del 2019) delle elezioni europee ha già un canovaccio pronto: dimissioni di Elly Schlein e votazione unanime dell’assemblea nazionale del nuovo segretario-reggente: Paolo Gentiloni.
Il meccanismo in pratica sarebbe lo stesso usato dopo le improvvise dimissioni di Nicola Zingaretti e l’emersione del ‘salvatore della Patria’, Enrico Letta. In questo caso, il beneficiato sarebbe per l’appunto l’ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli Esteri, entrato di diritto nella tribuna delle riserve della Repubblica.
In pratica dal 25 febbraio, la minoranza vive in un girone infernale. Nessun riconoscimento negli uffici di presidenza, la defenestrazione di Simona Malpezzi e Piero De Luca, la promozione alla Camera di Paolo Ciani, l’ascesa di ‘gens nova’ al Nazareno. Per non dire dei contenuti: le primissime indecisioni sull’Ucraina, il totale disconoscimento del passato, la relazione privilegiata con Conte, Fratoianni e Landini, l’affondo contro il Jobs Act, il no agli impegni presi con la Nato sulle spese militari, il ‘caso’ Monza.
In particolare quello che è successo per le elezioni suppletive della Brianza, nel collegio senatoriale che fu di Silvio Berlusconi, va ricordato. I sindaci di Monza Paolo Pilotto, di Seregno Francesco Cereda e di Vimercate Vincenzo Di Paolo, avevano ripetutamente chiesto ad Elly Schlein una candidatura legata al territorio ed avevano anche identificato il nome giusto, quello dell’ex senatore dem Roberto Rampi.
Per tutta risposta, la segretaria del Pd ha scelto Marco Cappato, il leader dell’associazione Luca Coscioni, che esattamente l’anno prima, alle elezioni amministrative di Monza, aveva scelto di sostenere nel secondo turno, il candidato delle destre. Per dire che il radicale è particolarmente sgradito e per ragioni locali.
Elly, come spesso succede, è andata avanti di testa sua, esattamente come è successo con le spese militari, nonostante le raccomandazioni di Guerini. Da qui il ritorno in auge di Mina: “Non gioco più, me ne vado. Tu parli e non ti sento io cambio e chi non cambia resta là”. Una storica hit che la minoranza ha ripreso ad ascoltare.
(italiaoggi.it)