di Mario Lavia
Eppur si muove
La segretaria vuole dimostrare di avere delle proposte da opporre alla narrazione della destra, ma lo fa sconfinando nel campo di Conte e riavvicinando Bersani, D’Alema, Cofferati. Contenti loro
Eppure Elly Schlein si muove. A modo suo. Senza un filo logico, almeno apparentemente, cioè accumulando suggestioni su suggestioni a rischio che ne venga fuori un po’ di cacofonia. Ma il rischio di stare fermi è anche peggiore. Come se disponesse di una bancarella al mercato, la segretaria del Partito democratico aggiunge quasi ogni giorno un oggetto nuovo, una nuova pietanza: e così ieri è venuta fuori la proposta, sulla quale peraltro si discute da tempo, di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni, proposta che in diversi casi è già realtà, soprattutto nei servizi, nel sistema bancario.
In una conversazione con Fanpage la leader del Partito democratico ha spiegato che «la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario dimostra che c’è addirittura un aumento di produttività. Lavorare troppo e male non aumenta la produttività. È una misura che porta con sé alcuni benefici importanti». Qualche esempio? La riappropriazione del «prezioso tempo delle persone, la riduzione delle emissioni e aiuta il riequilibrio di genere nel mondo del lavoro. Insomma, abbiamo diverse ragioni per provare a sperimentare questa misura».
Sembra di essere nella scia del Fausto Bertinotti del 1997, quando proponeva la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, proposta mai fatta propria dall’allora Ulivo e causa di accesi diverbi in quella coalizione. Ma è anche vero che da allora tante cose sono cambiate, dall’incredibile velocità delle innovazioni tecnologiche alla nuova realtà dello smartworking che ha cambiato mentalità e bisogni di tantissimi lavoratori. Ed è probabile che Schlein abbia voluto lanciare un segnale di politica sociale che certamente parla appunto a larga parte dei lavoratori (ma chissà che ne pensano le imprese), il che rientra in una strategia tesa a guadagnare credito nel mondo del lavoro.
Magari occorrerà essere più precisi nella proposta che in ogni caso ha il merito di suscitare attenzione, che è esattamente il problema del Partito democratico. Infatti Schlein in questi giorni ha lanciato diverse proposte – sull’immigrazione e contro il carovita – senza però incidere più di tanto: sarà colpa dell’informazione disattenta ma probabilmente anche di un difetto di chiarezza, di una incapacità di toccare l’opinione pubblica veicolando messaggi forti.
Tuttavia il Partito democratico sta provando a delineare una sua controproposta rispetto al racconto dominante della destra rafforzando ogni giorno di più la sua fisionomia di partito di sinistra-sinistra, costruendo intese – come per esempio sul salario minimo – ma tralasciando le questioni più impopolari e di governo (la guerra, le spese per gli armamenti, la politica dei respingimenti o se si vuole il nodo della produttività e persino della battaglia culturale contro la linea dei sussidi e dell’assistenzialismo) e proiettando sul muro della politica temi “moderni” e socialmente popolari.
Che è un po’ la stessa tattica di Giuseppe Conte, che Schlein rischia di inseguire sul suo terreno, sbagliando. Questo Partito democratico “di sinistra” – si passi la semplificazione – è costruito per recuperare nel vasto mare dell’astensionismo: è questa la scommessa che la segretaria giocherà alle Europee se vuole raggiungere quel 24-25 per cento che le consentirebbe di proseguire la sua avventura al Nazareno con ancora più forza.
E in questa torsione che Schlein sta imprimendo alla politica del suo partito è naturale che tornino a casa personalità che ne erano uscite “a sinistra”, come Sergio Cofferati che sta compiendo lo stesso percorso di Pier Luigi Bersani: «Condivido, l’orientamento del partito dopo l’elezione di Schlein alla segreteria e penso sia giusto aiutare quel partito», ha detto prima di aggiungere in modo un po’ inelegante una battuta per quelli che nel Partito democratico non intendono dimenticare gli anni di Matteo Renzi: «La stagione del renzismo è definitivamente finita».
Contento lui. Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema (anche se non formalmente), Sergio Cofferati: ex riformisti di un tempo tornati sulla scena molto a sinistra in età più che adulta.
Grazie alla giovane Elly che gli ha riaperto il cancello del Nazareno.