Gli eroi di Mariupol in centro a Milano per dare uno schiaffo alla propaganda russa in Italia (linkiesta.it)

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Gli occhi della verità

La scrittrice ucraina Anastasija Dmytruk ha organizzato, in via Dante, una mostra fotografica sui soldati del reggimento ucraino Azov. «Un modo far capire a tutti che i difensori della democrazia non sono solo unità di combattimento, ma persone vere, belle, innamorate, vive», dice l’autrice

(Pagina Facebook di Anastasiya Dmytruk)

La scrittrice ucraina Anastasija Dmytruk, autrice del libro “Gli occhi di Mariupol”, ha organizzato una mostra sui soldati del Reggimento Azov nel cuore di Milano, insieme con l’associazione UaMi e con il patrocinio del Municipio 1 del Comune di Milano, il Consolato Generale dell’Ucraina e la fondazione di beneficenza della Famiglia Kvyakrovskyy.

Dal 3 al 17 settembre la mostra “Gli occhi di Mariupol”, installata all’aperto in via Dante, ha suscitato un acceso dibattito e ha costretto gli italiani a chiedersi chi siano veramente i soldati ucraini.

Come racconta l’autrice del progetto, l’idea è nata nel 2022: «In un giorno di primavera mi ha scritto la madre di un ragazzo, che in quel momento si trovava ancora sotto l’assedio dell’Azovstal e mi ha chiesto di raccontare di lui sulle mie pagine social, in modo che più persone possibile potessero conoscere il destino di suo figlio.

Poi mi ha scritto la madre di un altro ragazzo, poi un’altra ancora… Allora ho promesso di fare tutto il possibile, per far sì che tutto il mondo venga a conoscere le storie dei loro figli». Dopo alcuni mesi di intenso lavoro e dedizione, il team del progetto ha presentato al mondo non un semplice libro, ma «un’impronta della storia che si stava svolgendo sotto i nostri occhi».

Anastasija Dmytruk voleva mostrare a tutto il mondo gli occhi dei difensori di Mariupol. È per questo che il progetto prevede l’organizzazione di mostre in diversi Paesi, con foto e materiali illustrativi, a cui si aggiunge la presentazione del libro: in questo modo si aiuta «a far capire a tutti che i difensori dell’Ucraina non sono delle unità di combattimento immaginarie, ma sono persone vere, belle, innamorate, vive».

Persone che hanno difeso la loro terra finché è stato possibile. E hanno difeso non solo l’Ucraina, ma anche i valori dell’intero mondo democratico. Raccontare le loro storie è un tentativo di ringraziarli e non permettere che il mondo li dimentichi.

Inoltre, Dmytruk devolverà all’Ucraina i fondi raccolti dal suo libro, anche per dare un sostegno alle famiglie ucraine che hanno perso i loro uomini a Mariupol. Mentre tutte le donazioni pervenute su PayPal della fondazione di beneficenza della Famiglia Kvyakrovskyy saranno trasferite alla brigata Azov.

Zoia Stankovska, fondatrice dell’Associazione dei giovani ucraini di Milano UaMi, in un dialogo con Anna Zafesova organizzato dal movimento informativo ForzaUcraina.it ha raccontato che la mostra a Milano è stata organizzata per far conoscere queste storie in Italia e continuare a richiamare l’attenzione sulla realtà della guerra: «Abbiamo voluto raccontare quello che è successo a questi giovani, testimoniare il loro coraggio e sottolineare le ragioni che li hanno spinti a difendere il loro Paese».

Inoltre, gli organizzatori hanno voluto raccontare come vivono oggi queste persone. Molti di loro hanno avuto destini diversi. Ad oggi, circa duemila persone, non solo i combattenti di Azov, sono ancora detenute in Russia in condizioni disumane. La Russia non rispetta i principi della Convenzione di Ginevra in relazione ai prigionieri di guerra, e questo dovrebbe essere costantemente ricordato e sottolineato.

Zoia osserva che spesso deve sottolineare che «la guerra, purtroppo, ha trasformato le persone in una massa. E spesso quando pensiamo alla massa diventiamo indifferenti. Ma quando parliamo di individui è completamente diverso». Ecco perché parlare del popolo ucraino, e parlare ad esempio del marito di un’amica in Italia, fa un’impressione completamente diversa.

Proprio per la dimensione privata delle storie dei difensori di Mariupol, la mostra è un forte strumento di comunicazione. Tant’è vero che tutte queste storie sono un intreccio di «telefonate, sentite dai muri dell’“Azovstal” distrutto, di messaggi inviati dalla guarnigione assediata, dai sentimenti cristallizzati nelle linee dei disegni degli innamorati».

Nel libro e nelle storie presentate alla mostra ci sono frammenti di messaggi e di telefonate, ci sono i qr-code con i video dagli archivi privati degli eroi, foto, poesie a loro dedicate. Sono proprio queste le cose che aiutano a trasformare una massa di persone in individui, con tutte le loro storie personali.

Per far arrivare queste storie al pubblico più grande possibile: «Abbiamo cercato un luogo in cui questa mostra potesse essere vista da un grande pubblico, perché le mostre in spazi chiusi di solito sono frequentate solo da persone che vengono lì di proposito, mentre in via Dante passano molte persone che si fermeranno a guardare perché dalle fotografie le guarderanno “Gli occhi di Mariupol”», racconta Zoia.

Per portare la mostra in Italia c’è voluto un grande impegno. In occasione della mostra, Anastasija condivide sui social media le sue emozioni per questa «piccola vittoria comune», perché «portare una mostra sui difensori ucraini in Italia è difficile. Il Paese è impregnato di propaganda russa».

Afferma che è una grande sfida per tutti, in primo luogo per le autorità locali, che sanno bene «cosa si dice su Azov in Russia», ma dopo un controllo approfondito e dopo numerose correzioni hanno deciso chiaramente «da che parte stanno e con chi». Le autorità della città hanno preso una posizione molto chiara e senza compromessi, la mostra è stata allestita nel centro di Milano per raccontare la verità su Azov.

Uno schiaffo del genere alla propaganda russa non è rimasto inosservato. Il Municipio di Milano è stato “attaccato” da circa duecento lettere di protesta da parte del Comitato per il Donbas antifascista e Rifondazione comunista, che chiedevano di chiudere immediatamente la mostra. Lo racconta Massimiliano Melley, che ha scritto un articolo in difesa dell’organizzazione della mostra. Questa reazione è diventata anche uno dei temi della discussione in diretta su ForzaUcraina.it.

Massimiliano, che ha moderato il dialogo, ha dichiarato che fin dal primo giorno della mostra sono scoppiate molte polemiche e accuse di nazionalismo da parte di gruppi molto piccoli. Sottolinea che queste manifestazioni «molto rumorose» sono in realtà «poco rappresentative», come dimostra il fatto che durante questa polemica cinquantamila persone, milanesi e non, hanno applaudito l’inno ucraino allo stadio di San Siro durante la partita Italia-Ucraina.

Alle accuse di nazismo bisogna rispondere. Ma Massimiliano si chiede se ne valga la pena, e che risposta si potrebbe dare. La giornalista Anna Zafesova ritiene che non si debba prestare loro attenzione, perché dopo nove anni in cui si è parlato di nazisti ucraini, dopo gli sforzi di tanti studiosi e giornalisti per raccontare la verità sull’Ucraina, chi ancora chiede del nazismo in Ucraina o non è affatto informato o lo fa di proposito.

«E il proposito — sottolinea Anna Zafesova — è quello di costringerci a parlare di loro invece di raccontare ciò che sta accadendo. Quello che dobbiamo fare è raccontare la storia: reagire e a farci dettare l’agenda da questi personaggi è un errore. Non dobbiamo farci coinvolgere in queste polemiche, dobbiamo parlare di ciò che sta realmente accadendo».

Attraverso la sua pagina Facebook ha commentato la situazione anche Anastasija Dmytruk: «Le pagine principali delle maggiori testate italiane scrivono della mostra “Gli occhi di Mariupol”! E soprattutto di come questi occhi puntino alle vittime della propaganda russa. Sabato il russkij mir a Milano si è armato di altoparlanti, nastro adesivo e della sua povera propaganda ed è uscito a fare i balletti intorno alla nostra mostra sui difensori di Azovstal e su Azov. Bene.

È un bene che anche a millecinquecento chilometri di distanza il russkij mir senta che i nostri eroi sono una minaccia per la sua esistenza». Poi Anastasija sottolinea che in risposta a questa indignazione, un deputato locale ha scritto sul suo profilo Instagram che avrebbe proposto al Comune di lasciare la mostra nel centro di Milano fino alla fine dell’invasione russa dell’Ucraina.

Dopo la bufera che si è scatenata sulla mostra il Console Generale d’Ucraina a Milano ha commentato la situazione all’Adnkronos dichiarando: «Le recenti polemiche legate alla mostra […] dimostrano ancora una volta quanto influente sia la macchina propagandistica russa». Ma ha espresso anche una convinzione profonda nel fatto di comunanza di valori e di intenti dell’Ucraina e dell’Italia e fiducia «nella capacità dell’uomo moderno di discernere la realtà dall’inganno e i fatti dalla propaganda».

Poi il console ha ribadito: «Siamo eternamente grati agli italiani che, sin dall’inizio, hanno dimostrato il proprio supporto e la propria umanità, così come a quelli che, inizialmente scettici, ci hanno dato ascolto, e si sono schierati con il popolo ucraino, dandogli la forza per continuare a resistere».

Domenica 17 settembre l’associazione UaMi ha organizzato un evento per la difesa della mostra, invitando i passanti a fermarsi per guardare negli occhi della verità e sentire cos’è il coraggio, l’audacia, l’indomabilità. La mostra si è conclusa, ma come afferma l’autrice del progetto: «Milano è solo l’inizio».

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