Storie di promesse disattese e attraversamenti disperati a Calais (linkiesta.it)

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L’ultima spiaggia

Nella «giungla dell’ospedale» ci sono gli afghani che due anni fa sono fuggiti dai talebani e che speravano nell’accoglienza dei Paesi Occidentali. Centinaia di persone accampate per tentare di raggiungere il Regno Unito via mare

(Calais – Elena Colonna)

Calais, Francia. «I Paesi occidentali hanno fatto grandi promesse, ma non le hanno mantenute» dice Abas. Il giovane afghano, fuggito dal suo paese due anni fa quando i talebani hanno preso il potere, è bloccato a Calais da dieci giorni. Ci racconta che qualche giorno fa ha tentato di attraversare la Manica su un barcone, per raggiungere il Regno Unito, ma che la polizia francese ha intercettato l’imbarcazione e lo ha riportato in Francia; riproverà ad attraversare la Manica «il prima possibile».

Abas vive nella cosiddetta «giungla dell’ospedale», un accampamento informale situato tra l’ospedale di Calais e l’autostrada, abitato quasi esclusivamente da migranti afghani. A Calais, in quartieri diversi della città, ci sono una decina di accampamenti simili che ospitano centinaia di migranti. Per raggiungere la «giungla dell’ospedale» bisogna camminare per circa mezz’ora nei campi, tra alte erbacce, rovi e ortiche: il termine «giungla» è estremamente appropriato per descrivere il percorso.

Più che di un vero e proprio accampamento, si tratta in realtà di una cinquantina di tende – anche se è difficile determinarne il numero effettivo – nascoste tra alberi e cespugli. I migranti che vivono qui sono molto diffidenti verso chiunque si avvicini, e nessuno accetta di farsi fotografare. «Le condizioni sono difficili, non abbiamo acqua né luce, un giorno sì e un giorno no arriva la polizia a mandarci via, ma noi torniamo, non abbiamo alternative».

«Mio padre, in Afghanistan, lavorava per l’Unicef», racconta Abas, «quando i talebani hanno occupato il paese due anni fa, l’Unicef ha avvertito mio padre che eravamo in pericolo a causa del suo lavoro in un’organizzazione internazionale». Nonostante l’Unicef avesse rassicurato il padre di Abas che lo avrebbe aiutato a lasciare il paese, dopo un mese questo non era ancora successo: Abas e la sua famiglia sono quindi fuggiti in Iran. Mentre la sua famiglia è rimasta in Iran, Abas ha proseguito verso l’Europa: il suo obiettivo è quello di raggiungere il Regno Unito, «perché parlo inglese e ho conoscenze nel Regno Unito, e perché penso che lì sarà più facile ottenere un visto».

Dopo un’offensiva durata mesi e l’abbandono del Paese da parte dei contingenti occidentali, il 15 agosto 2021 i talebani sono entrati a Kabul e hanno ripreso il potere in Afghanistan. Migliaia di persone si sono trovate in pericolo di vita per aver collaborato con il governo repubblicano sostenuto dall’occidente.

Molti governi occidentali, soprattutto quelli che avevano una presenza massiccia di truppe sul territorio afghano, hanno promesso di impegnarsi nell’evacuazione e nel ricollocamento degli afghani a rischio, a partire dai loro diretti collaboratori. Nell’agosto del 2021 decine di migliaia di afghani sono stati evacuati: quasi ottantamila dalle forze statunitensi, quindicimila dal Regno Unito e cinquemila dal contingente italiano. Queste evacuazioni, diventate in molti casi caotiche, non hanno però permesso a tutti gli afghani in pericolo di vita di lasciare il paese. Ma nei due anni che sono trascorsi da quell’estate gli Stati occidentali sono venuti meno alle loro promesse e non hanno proseguito l’evacuazione dei cittadini afghani a rischio.

Un programma lanciato dal governo tedesco che avrebbe dovuto permettere a mille afghani al mese di entrare in Germania è stato sospeso senza che nessun afghano venisse evacuato. Il Regno Unito dall’agosto 2021 ha accolto solo cinquantaquattro afghani tramite lo schema di ricollocamento che inizialmente prometteva di accoglierne ventimila. Secondo un rapporto dell’organizzazione International Rescue Committee, nel 2022 sono stati solo duecentosettantuno gli afghani accolti in tutti i paesi dell’Unione europea, lo 0,1 per cento degli oltre duecentosettantamila afghani identificati come bisognosi di protezione.

Secondo l’associazione, è una «negligenza sconcertante» che gli Stati membri abbiano «costantemente» disatteso le promesse di reinsediamento legale; Laura Kyrke-Smith, responsabile dell’associazione per il Regno Unito, ha dichiarato che «i Paesi di tutto il mondo hanno abbandonato gli afghani». Molti cittadini afghani a rischio sotto il regime dei talebani sono quindi fuggiti dal paese, rifugiandosi nei campi profughi in Iran o Pakistan o rischiando la vita per raggiungere l’Europa con le proprie forze. Dopo più di due anni, tanti di loro sono ancora senza un rifugio sicuro. Per quelli che vogliono raggiungere il Regno Unito, il viaggio passa necessariamente per Calais.

Pardes è un giovane afghano di venticinque anni. Anche lui ha lasciato il suo paese due anni fa, quando i talebani hanno preso Kabul. «In Afghanistan lavoravo nel governo repubblicano, in collaborazione con le forze speciali del Regno Unito: ho dovuto lasciare il paese perché lì la mia vita era in pericolo», ci racconta. Avendo lavorato con l’esercito britannico, Pardes avrebbe potuto essere evacuato con gli altri collaboratori del Regno Unito, ma non è riuscito ad accedere a queste evacuazioni: «in quel momento, non c’era tempo e avevo paura che i talebani mi avrebbero trovato e ucciso: la mia vita era in pericolo, dovevo fuggire immediatamente».

Rifugiatosi in Iran, Pardes ha poi attraversato Turchia, Bulgaria, Bosnia, Croazia, Italia e Francia. La sua destinazione finale è da sempre il Regno Unito: perché in Afghanistan lavorava con gli inglesi, e perché il Regno Unito aveva promesso di concedere asilo ai suoi collaboratori. Per farlo, Pardes proverà ad attraversare la Manica. Data l’inefficienza dei programmi di ricollocamento inglesi sono molti gli afghani che rischiano la vita tentando di attraversare la Manica, su piccole imbarcazioni o nascosti nei camion. Il numero di cittadini afghani che ha raggiunto il Regno Unito in questo modo è salito da 494 persone nel 2020 a 1.437 nel 2021 a 8.633 nel 2022. Per chi non riesce, l’esito del tentativo può essere tragico: il 12 agosto il naufragio di un’imbarcazione nella Manica ha portato alla morte di sei migranti, tutti afghani.

Secondo Francesca Morassut, coordinatrice dell’associazione Utopia 56 che fornisce primo soccorso ai migranti in situazione di emergenza e di naufragio, la crisi umanitaria a Calais è esasperata dalla risposta delle autorità francesi e britanniche che «invece che implementare misure di accoglienza, preferiscono provvedimenti repressivi».

Morassut, che lavora a Calais dal 2021, spiega che di anno in anno il governo francese ha implementato misure sempre più aggressive: «la polizia ormai effettua sgomberi quasi quotidiani, facendo spostare le tende ai migranti ogni ventiquattro o quarantotto ore, a volte arrestando persone o confiscando oggetti personali». D’altronde, a Calais non ci sono soluzioni di accoglienza istituzionali, «la presenza della polizia è pervasiva, ma c’è un’assenza totale di qualsiasi servizio per i migranti, di accesso all’acqua, al cibo, alla salute o all’informazione».

Questo ha fatto sì che, negli ultimi mesi, i migranti abbiano cominciato ad allontanarsi da Calais, cercando di imbarcarsi in località poste più a sud dove la presenza della polizia è minore. Questo però rende la traversata più lunga e pericolosa. Qualche settimana fa, di rimando, le autorità francesi hanno installato una barriera di boe galleggianti sul fiume Canche, pochi chilometri prima che questo sfoci nella Manica, in uno dei punti di partenza per le imbarcazioni dei migranti.

Anche dal lato britannico, la risposta istituzionale è l’implementazione di misure sempre più stringenti. A luglio, il parlamento inglese ha approvato la proposta di legge sull’immigrazione portata avanti dal governo conservatore di Rishi Sunak, il cosiddetto «Illegal Migration Bill». Questa prevede di fatto l’espulsione di chiunque arrivi nel Paese per via illegale: «impedirebbe ai migranti che arrivano illegalmente nel Regno Unito di poter fare domanda d’asilo, il che è totalmente contrario alla Convenzione di Ginevra» spiega Morassut. Già l’anno scorso, il governo di Boris Johnson aveva proposto un disegno di legge – poi dichiarato illegale dalla Corte d’Appello di Londra – che prevedeva il trasferimento dei richiedenti asilo dal Regno Unito al Ruanda in quanto «Paese terzo sicuro».

Nonostante questa proposta, nel 2022 sono comunque stati oltre quarantacinquemila i migranti che hanno raggiunto il Regno Unito attraversando la Manica, il numero più alto da quando il dato viene registrato. «Quello che noi abbiamo constatato è che queste politiche, oltre a essere chiare violazioni dei diritti umani, non servono a niente, non disincentivano le partenze: le misure di chiusura dell’Inghilterra non hanno mai fatto diminuire il numero di persone che cercano di attraversare la Manica», spiega Morassut. Di conseguenza, i migranti negli accampamenti a Calais restano tantissimi, «circa cinquecento in inverno e oltre milleduecento nei mesi estivi».

Sembra emergere da parte di alcuni politici britannici, una certa consapevolezza sulla situazione. «Ci sono persone in Afghanistan e nei campi profughi che hanno lavorato per noi e con noi e le cui vite sono in pericolo per questo motivo, e penso che abbiamo un obbligo nei loro confronti» ha dichiarato recentemente l’ex ambasciatore britannico in Afghanistan Laurie Bristow alla Bbc. Resta da vedere se alle parole seguiranno i fatti.

Tutte le foto presenti in questo articolo sono state scattate dalla giornalista Elena Colonna

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