La sinistra che urla non vince (corriere.it)

di Angelo Panebianco

Asimmetrie

La vita, si sa, è spesso ingiusta. In Italia, per quanto riguarda le cose politiche, lo è particolarmente nei confronti della sinistra. C’è infatti fra destra e sinistra una evidente asimmetria. La destra, quando è all’opposizione, urla e strepita contro il governo qualunque cosa esso faccia (pur con la rilevantissima eccezione, all’epoca del governo Draghi, della posizione di Fratelli d’Italia sull’Ucraina). È solo quando si trova a governare che deve fare i conti con la complessità dei problemi.

Ma può urlare e strepitare impunemente perché gode nel Paese di un consenso superiore a quello della sinistra. Le urla e gli strepiti (ciò che, tecnicamente, Giovanni Sartori definiva «opposizione irresponsabile») non le impediscono di vincere le elezioni. Per la sinistra è diverso. La sinistra, all’opposizione, fa ciò che faceva la destra nella stessa situazione. Solo che le sue urla e i suoi strepiti non le fanno guadagnare un voto.

Non viene a nessuno il sospetto, da quelle parti, che l’opposizione irresponsabile, se può servire alla destra quando è all’opposizione, non serva invece alla sinistra? Mi correggo: serve per coltivare l’orticello, tenersi stretti gli elettori (pochi) che già si hanno ma al prezzo di restare in minoranza. Non serve per fare una proposta di governo che permetta di guadagnare molti nuovi elettori. Né ha senso consolarsi dicendo che, se si guardano i numeri, se si tiene conto anche delle astensioni, la destra non dispone del consenso della maggioranza degli elettori. Non significa nulla.

V ince (ottiene la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari) chi cattura il voto della minoranza elettorale più forte. La minoranza elettorale che vota a destra è oggi di gran lunga più forte della minoranza elettorale che vota a sinistra.

A coloro che si autodefiniscono di sinistra si dovrebbero porre tre domande. La prima è: che cosa c’è secondo voi di sbagliato nella politica attuale del partito laburista britannico? Sotto la nuova leadership di Keir Starmer, il Labour si è sbarazzato degli estremismi dell’epoca di Corbyn.

E ora, dopo un lunghissimo periodo all’opposizione, è di nuovo un partito competitivo, un partito che ha ottime probabilità di vincere le prossime elezioni contro i conservatori. Il Labour sta facendo una politica saggia, lungimirante, o si sta solo vendendo l’anima per un piatto di lenticchie?

La seconda domanda (apparentemente ingenua) è questa: i sondaggi, un anno dopo le elezioni politiche, continuano a segnalare un divario enorme, nell’atteggiamento degli elettori, fra la coalizione di destra al governo (che mantiene quasi intatti i consensi ottenuti alle urne) e la coalizione di sinistra. Come mai, di fronte a rilevazioni demoscopiche per loro così disastrose, i militanti non hanno ancora chiesto la testa dei leader delle formazioni di sinistra? Non si tratta forse di leader che, nonostante le grandi difficoltà del governo, risultano manifestamente incapaci di modificare i rapporti di forza fra sinistra e destra?

La terza domanda è: perché mai c’è un divario così profondo fra la cultura di governo di tante amministrazioni di sinistra (soprattutto del Nord), una cultura di governo che ha spesso dato buoni frutti nelle città governate dalla sinistra e il movimentismo barricadiero delle leadership nazionali? Né vale l’obiezione, nel caso del Partito democratico, che esso sia stato a lungo forza di governo. Perché si dà il caso che, chiusa la parentesi maggioritaria (l’epoca Berlusconi-Prodi), il Pd sia stato per molto tempo al governo solo in virtù di manovre parlamentari e non per avere vinto le elezioni.

È da provare che il Pd e le altre forze di una futura coalizione di sinistra siano in grado di fare una proposta credibile e realistica agli elettori, tale da ribaltare i rapporti di forza fra la minoranza elettorale che sostiene la destra e quella che sostiene la sinistra.

Lasciamo da parte il tema dell’immigrazione ove lo scontro valoriale è, evidentissimamente, insuperabile. Tra i «cattivi sovranisti» della destra e i «buoni samaritani» della sinistra non c’è possibilità di dialogo. Prendiamo un tema solo apparentemente più prosaico (ma rilevantissimo): l’uso dei fondi Pnrr. La sinistra ha il diritto e il dovere di denunciare quelli che ritiene gravi errori del governo.

Però, come sanno anche i sassi, l’uso dei fondi Pnrr rischia di essere gravemente compromesso soprattutto dalla tradizionale inefficienza dell’amministrazione centrale e di molte amministrazioni periferiche. Questo è tuttavia un argomento tabù, su cui qualunque governo (quelli di cui faceva parte la sinistra come l’attuale di destra) cerca di glissare. Per un governo affrontare seriamente tale questione significa suscitare resistenze formidabili. Sarebbe come mettere le dita in un tritacarne.

Ora che la sinistra è all’opposizione, almeno in teoria , è nella condizione migliore per fare proposte, al governo e al Paese, volte a ridurre l’inefficienza amministrativa (anche indipendentemente dalla questione dei fondi Pnrr). Se facesse ciò, plausibilmente, disorienterebbe quei suoi «fan» che chiedono solo urla e strepiti ma forse susciterebbe l’attenzione di molti osservatori qualificati.

«Fateci sognare», «dite qualcosa di sinistra», «scendiamo in piazza»: è la voce dell’impotenza.

Poiché l’Italia non è la Gran Bretagna, assumere come fonte di ispirazione il nuovo Labour Party si scontrerebbe con ostacoli potenti. C’è prima di tutto la frammentazione delle coalizioni. Se uno dei due maggiori partiti dell’opposizione si azzardasse a proporsi come oppositore responsabile verrebbe subito scavalcato a sinistra con l’accusa di essersi venduto al governo, di fare inciuci, eccetera.

Ma c’è anche l’eredità del passato. Ha a che fare con la questione dell’identità. I vecchi elettori di sinistra, anche se non lo confesserebbero mai, ricordano con nostalgia i bei tempi in cui il Partito comunista era sempre all’opposizione. L’epoca — happy days — in cui il partito poteva promettere impunemente la luna senza doversi mai sporcare le mani (almeno ufficialmente) con il governo del Paese.

Quei vecchi preferiscono una sinistra all’opposizione. Che c’è di meglio di potere denunciare ogni giorno le malefatte del governo per sentirsi puri e immacolati? Questa attitudine, che viene dal passato, è stata trasmessa anche a una parte delle generazioni più giovani. Altro che Labour Party.

Certamente, la questione identitaria (come ha osservato Sergio Fabbrini, sul Sole 24 ore ) riguarda anche la destra di governo. E la porta a commettere errori e pasticci. Però la destra comunque governa. È la sinistra che, coltivando solo l’identità, corre il rischio maggiore: ritrovarsi in mano, alla fine, un pugno di mosche.

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