di Alessandra Ricciardi
In soli sei mesi è calata la fiducia nella segretaria del Pd. L'entusiasmo è scemato
Paolo Natale, politologo, Università Statale di Milano
Finita la luna di miele tra gli elettori dem e la segretaria Elly Schlein. «Se a marzo scorso la fiducia nella nuova segretaria era al 39%, dopo 6 mesi è già al 24%: l’entusiasmo iniziale è rapidamente scemato», dice Paolo Natale, politologo dell’Università di Milano e consulente di Ipsos. A un anno dalle elezioni politiche, la fotografia degli schieramenti segna un consolidamento dei consensi verso il centrodestra, che dal 44% passa al 47%, mentre l’offerta politica del centrosinistra che era al 26%, frutto dell’alleanza tra Pd-Sinistra italiana e +Europa, cala al 24%, con un Pd che resta congelato sul 20% di Enrico Letta.
E il campo largo? «L’alleanza di tutta l’opposizione sulla carta sarebbe competitiva», risponde Natale «se sommiamo tutti i voti potenziali dei vari partiti che sono fuori dalla maggioranza arriva al 48%.
Ma significherebbe mettere assieme il Pd con i cespugli di sinistra, e questo è facile, ma anche con il M5s e poi con Azione e Italia viva…operazione ad oggi politicamente impraticabile. Sono tutti competitors piuttosto che potenziali alleati. La vocazione maggioritaria del Pd? Smarrita».
Domanda. A un anno dalle elezioni politiche, qual è lo stato di salute della maggioranza di governo?
Risposta. Abbastanza positivo, i sondaggi sono concordi nel dire che Fratelli d’Italia si è attestata sul 30% rispetto al 26% di un anno fa, la Lega è stabile sul 9%, mentre Forza Italia cala di un punto ma è bilanciato dalla crescita di Fd’I. Complessivamente la coalizione si è consolidata sul 47%, rispetto al 44% raggiunto alle elezioni di settembre.
D. Ma il giudizio sull’operato del governo è scemato, dal 53% di fine 2022 al 46-47% di queste settimane.
R. Direi che è un calo fisiologico, quello del gradimento del governo, da Silvio Berlusconi a Romano Prodi a Matteo Renzi tutti nel tempo hanno registrato un arretramento, che è però cosa diversa dalle intenzioni di voto e dalle previsioni del vincitore. Alla domanda chi vincerà le prossime elezioni, prima del voto di settembre 2022 il centrodestra era considerato vincente dal 43% degli elettori, ora lo è per il 48%. Che potesse vincere Pd e M5s a settembre lo pensava il 28%, ora il 18%, secondo le periodiche rilevazioni di Ipsos.
D. Cosa funziona per il cdx?
R. Innanzitutto la strategia comunicativa del governo, che è riuscito a far passare in secondo piano le difficoltà nel controllo dell’immigrazione o alcune promesse mancate, come per esempio la riduzione delle accise sulla benzina. Il merito principale va dato alla premier Giorgia Meloni che riesce a mantenere un buon equilibrio tra la postura istituzionale, in particolare nei rapporti internazionali, e l’affidabilità nel rapporto con gli elettori ribadendo la centralità di alcuni punti chiave del suo programma come la difesa della famiglia. Questo mix genera fiducia anche sul futuro del paese.
D. La sfida tra le leadership dei due campi è tutta al femminile: tra Meloni e Schlein chi la vince?
R. Non c’è partita. Meloni aveva un gradimento del 40% un anno fa, i recenti sondaggi la danno al 49%. Elly Schlein appena arrivata alla segreteria del Pd a marzo scorso aveva un tasso di fiducia del 39%, dopo 6 mesi è al 24%: l’entusiasmo iniziale è rapidamente scemato. Il suo arrivo aveva suscitato parecchie speranze, era la svolta che molti aspettavano dopo 11 anni in cui il partito era stato un partito di gestione del potere e non di lotta politica.
D. E poi cosa è successo?
R. Si attendevano parole chiare su proposte che fossero capaci di ricostruire una visione. Schlein invece, a parte i diritti civili, non pare capace di declinare un progetto politico convincente, dall’ambiente alla globalizzazione all’economia, e di essere incisiva dal punto di vista anche comunicativo sui temi oggetto del confronto politico. Anche lei pare vittima come i suoi recenti predecessori dell’incapacità di una progettualità forte. Continua a rivolgersi sempre allo stesso elettorato, che per ora regge ma, come dimostrano i voti nelle zone rosse, non è eterno. E non è capace di riprendersi i voti dei delusi, andando ad attingere a quello straordinario bacino elettorale inespresso dell’astensionismo che oggi vale il 40%.
D. Che spazio occupa in questo quadro il Movimento5stelle?
R. Giuseppe Conte è stabile sul 15-16%, è l’unico che riesce a prendere voti anche tra i perdenti della globalizzazione che però sono ideologicamente più vicini al centrodestra che non alla sinistra classica.
D. Con i 5stelle spera si possa lavorare insieme, ha ribadito Schlein.
R. Pd e M5s hanno alle spalle bacini elettorali diversi, il che può essere positivo nella misura in cui non si cannibalizzano. Sono un problema quando sui singoli temi sono in netta contrapposizione, come accade sull’immigrazione, senza riuscire a trovare un punto di caduta comune.
D. E la vocazione maggioritaria del Pd?
R. Quella vocazione originaria con cui il partito è nato nel 2007 per ora è smarrita. A differenza dei socialisti spagnoli capaci di aggregare intorno a sé i piccoli partiti, il Pd non riesce ad essere un centro attrattivo. Nel campo del centrosinistra italiano sembrano tutti competitors piuttosto che potenziali alleati.
D. Si va verso le Europee, e il voto è proporzionale.
R. Questo è vero anche per il centrodestra, dove le differenze tra i singoli partiti vengono esaltate in questa fase ma senza minare un programma e una visione comune di fondo. Quale sia la proposta politica del campo avverso non è chiaro.
D. Quanto vale il campo largo?
R. L’alleanza di tutta l’opposizione sulla carta sarebbe competitiva, se sommiamo tutti i voti potenziali dei vari partiti che sono fuori dalla maggioranza arriva al 48%. Ma significherebbe mettere assieme il Pd con i cespugli di sinistra, e questo è facile, ma anche con il M5s e poi con Azione e Italia viva…operazione ad oggi politicamente impraticabile.