di AGNESE PINI
Scopriamo che essere liberi avrà un prezzo.
Non metaforico, non simbolico, ma quantificato in una cifra che il governo ha fissato in cinquemila euro. Per amor di precisione, in 4.938 euro, da versare con fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa. A tanto ammonta la cauzione che dovranno sborsare i migranti sbarcati in Italia per non finire rinchiusi in attesa di conoscere l’esito della propria richiesta d’asilo.
La finalità è quella di scongiurare eventuali fughe – un prezzo a garanzia, dunque – e anche quella, seppur non dichiarata, di scoraggiare a monte gli arrivi. Ma gli esiti pratici, per quel che ne sappiamo al momento, rischiano di essere discutibili.
Dunque: dopo essere stati taglieggiati dagli scafisti, dopo aver attraversato il mare, dopo essere fortunosamente sbarcati in condizioni che raramente si avvicinano a quelle della dignità umana, si presume che uomini e donne in arrivo dalla parte più svantaggiata del mondo siano nelle condizioni di procacciarsi cinquemila euro una volta raggiunte le nostre coste. È plausibile che tutto ciò avvenga, almeno legalmente? E soprattutto, è giusto?
Non siamo i primi a esserci inventati un sistema simile: tempo fa l’Ungheria istituì qualcosa di analogo salvo essere poi multata dalla Corte di giustizia europea. Ma non è certo questo il nocciolo del problema. No. Il problema sono le contraddizioni e i pericoli che tale decisione porta con sé. Innanzitutto: dove e come si presume che i migranti debbano procacciarsi questi denari?
Ottenendoli da chi? Con quali rischi di esasperare o creare nuove forme di illegalità e corruzione? E poi: chi controllerà le persone – potenzialmente destinate anche al rimpatrio – che pagando sono riuscite ad acquistare la propria libertà? Infine: anche ammesso che i migranti siano nelle possibilità di procurarsi autonomamente e legalmente quella cifra, è giusto creare un sistema d’accoglienza per censo?
Il privilegio nella disperazione: dividere chi sta male da chi sta ancora peggio.