Ostaggi di Basile (corriere.it)

di Massimo Gramellini

Il caffè

Ogni guerra ha l’Orsini che si merita.

A questo giro ci tocca l’ex ambasciatrice Elena Basile. Appena appare in tv, corro a indossare sciarpa e cappotto, tale è il gelo che emana dai suoi modi ma soprattutto dalle sue parole, rigorosamente a senso unico. L’algida signora riduce ogni vicenda umana a un mero calcolo di interessi e rapporti di forza.

L’altra sera dalla Gruber è stata capace di far uscire dai gangheri persino il mite Cazzullo. Basile deprecava che Hamas avesse preso pochi ostaggi americani: se fossero stati di più, questo il ragionamento da premio Nobel per il cinismo, Biden sarebbe stato costretto a negoziare.

L’idea che gli ostaggi siano da compatire tutti alla stessa maniera in quanto esseri umani, a prescindere dal fatto che la loro nazionalità li renda merce pregiata per una trattativa, deve apparirle una concessione al romanticismo (come «democrazia» e «libertà», cascami occidentali privi di significato che non le suscitano alcuna emozione).

A meno che la ex ambasciatrice consideri gli americani un po’ meno umani degli altri. Ipotesi non scartabile a priori, dal momento che in ogni controversia, sia essa la terza guerra mondiale o un litigio di condominio, Basile si schiera immancabilmente dalla parte opposta a quella degli odiati anglosassoni.

Ma ci sta: ciascuno è responsabile delle proprie opinioni e ha diritto di argomentarle dove e come meglio crede (in Occidente, almeno). Anche a rischio di trasformarsi in una macchietta.

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