Il regime demenziale e corrotto di un piccolo uomo come Putin (linkiesta.it)

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Guerra, sempre guerra

In ventidue anni l’autocrate russo ha usato i conflitti per legittimarsi e consolidare il proprio potere di fronte alla totale inazione dell’Occidente. Nel suo libro “L’aggressione russa” (Einaudi) Jonathan Littell spiega che l’unico modo per uscire dalla crisi in corso è il totale ritiro dell’esercito invasore e del suo leader

Ventidue anni fa, una guerra spietata portò Vladimir Putin al potere. Da allora la guerra è rimasta uno dei suoi strumenti preferiti, strumento che ha usato senza esitare durante tutto il suo regno. Vladimir Putin esiste grazie alla guerra, e grazie alla guerra ha prosperato. Speriamo che questa volta sia la guerra a determinarne la caduta.

Nell’agosto 1999, un allora sconosciuto Vladimir Putin fu nominato Primo ministro quando il suo predecessore rifiutò di accettare la nuova totale invasione della Cecenia. Putin, invece, era pronto a farlo, e in cambio del loro sostegno incondizionato diede carta bianca ai militari, permettendo loro di vendicare nel sangue e nel fuoco l’umiliante sconfitta del 1996.

La notte del 31 dicembre 1999, un Boris Eltsin invecchiato e stremato si dimise e consegnò la presidenza come un regalo al nuovo arrivato. A marzo del 2000, dopo la famosa minaccia, «inseguiremo i terroristi pure nel cesso», Putin fu trionfalmente eletto presidente. Salvo per i suoi quattro anni da Primo ministro (2008-2012), da allora è rimasto a capo della Russia.

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Nel 2008, quattro mesi dopo che la Nato aveva promesso un percorso di adesione per l’Ucraina e la Georgia, Putin ha raccolto le sue truppe per «manovre» al confine con la Georgia e ha invaso il Paese in cinque giorni, riconoscendo l’indipendenza di due «repubbliche» separatiste. Le democrazie occidentali hanno mugugnato qualche protesta, e praticamente non hanno fatto nulla.

Nel 2014, quando il popolo ucraino, dopo una lunga e sanguinosa rivoluzione, ha rovesciato un presidente filorusso che aveva voltato le spalle all’Europa per allinearsi pienamente con Mosca, Putin si è affrettato a invadere e annettere la Crimea, la prima dichiarata appropriazione di un territorio europeo dopo la Seconda guerra mondiale. Quando i nostri governanti, scioccati e increduli, hanno reagito con le sanzioni, Putin ha alzato il tiro e ha provocato rivolte nel Donbass, area russofona dell’Ucraina, e utilizzato segretamente le sue truppe per schiacciare il debole esercito ucraino e creare due nuove «repubbliche» separatiste, dove da allora cova un conflitto a bassa intensità.

È iniziata cosí quella che i francesi avrebbero chiamato la sua fuite en avant, la sua «fuga in avanti». A ogni passo l’Occidente lo ha condannato e ha cercato di punirlo con misure deboli e inefficaci, nella vana speranza di scoraggiarlo. A ogni passo lui ha rafforzato la sua determinazione ed è andato avanti. Putin è un piccolo uomo, fisicamente, e crescere nella Leningrado postbellica dev’essere stato duro per lui. Chiaramente ne ha tratto una lezione: se sei il ragazzino piú piccolo, picchia per primo, picchia duro e continua a picchiare. E quelli piú grossi impareranno a temerti e si tireranno indietro. Una lezione che ha fatto sua.

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Putin si sarà rallegrato quando l’Occidente, ansioso di congelare il conflitto attivo nel Donbass, ha permesso in silenzio che la Crimea scivolasse via dal tavolo delle trattative, concedendone di fatto l’annessione illegale alla Russia. Allora Putin ha capito che, se era vero che le sanzioni occidentali facevano male, non ferivano però in profondità e gli avrebbero permesso di continuare a sviluppare il suo esercito e a estendere il suo potere.

Ha capito che la Germania, maggiore potenza economica d’Europa, non desiderava staccarsi dal suo gas e dai suoi mercati. Ha capito che era possibile comprare gli uomini politici europei, compresi un ex Cancelliere tedesco e un ex Primo ministro francese, e metterli nei consigli di amministrazione delle sue compagnie controllate dallo Stato. Ha visto infine che perfino i Paesi che ufficialmente denunciavano le sue mosse, di fatto continuavano a ripetere mantra come «diplomazia», «reset», «necessità di normalizzare le relazioni».

Ha visto che a ogni sua offensiva, l’Occidente sventolava bandiera bianca e poi tornava a adularlo, nella speranza di un fantomatico «accordo»: Barack Obama, Emmanuel Macron, Donald Trump, la lista è lunga. Putin ha cominciato a uccidere i suoi oppositori in patria e all’estero.

Quando è successo da noi abbiamo gridato, ma non abbiamo fatto altro. Quando, nel 2013, Obama ha cinicamente ignorato la «linea rossa» da lui stesso tracciata in Siria, rifiutandosi di intervenire dopo l’attacco chimico di Assad a un quartiere residenziale di Damasco, Putin ha preso nota. Nel 2015 ha mandato le sue forze armate in Siria, per potenziare la sua base navale di Tartus e acquisire la nuova base aerea di Hmeimim.

Nel corso dei sette anni successivi ha usato la Siria come terreno di prova per il suo esercito, garantendo una straordinaria esperienza sul campo ai suoi ufficiali e migliorandone tattica, coordinamento ed equipaggiamento, il tutto mentre bombardava e macellava migliaia di siriani e aiutava Assad a riprendere il controllo su vaste zone del Paese. Nel gennaio 2018 ha cominciato a scontrarsi con le potenze occidentali direttamente nella Repubblica Centrafricana, dove ha inviato i mercenari del gruppo Wagner.

La stessa cosa al momento si verifica nel Mali, dove la giunta militare, con il supporto della Russia, ha appena cacciato dal Paese i francesi della missione anti-Isis. La Russia è attivamente impegnata anche in Libia a sventare i tentativi occidentali di riportare la pace e a dispiegare i suoi uomini sulla costa meridionale del Mediterraneo in una posizione tale da minacciare direttamente gli interessi europei.

Ogni volta abbiamo protestato, ci siamo agitati e non abbiamo fatto niente. E lui ogni volta ha preso nota. L’Ucraina rappresenta il momento in cui ha finalmente deciso di mettere le carte in tavola. È chiaramente convinto di essere abbastanza forte da poter sfidare apertamente l’Occidente lanciando senza provocazione la prima invasione di uno Stato sovrano in Europa dopo il 1945.

Ne è convinto perché tutto quello che abbiamo fatto, o meglio che non abbiamo fatto, negli ultimi ventidue anni gli ha chiarito che siamo deboli. Putin è forse un genio a livello tattico, ma è incapace di pensiero strategico. I nostri governanti si sono rifiutati di capirlo davvero, ma nemmeno lui era interessato a capire noi. Completamente isolato durante gli ultimi due anni per via del Covid, sembra essere sempre piú paranoico e intriso della sua ideologia panslavista, neo-imperialista e ortodossa, all’origine un’invenzione assolutamente artificiale volta a conferire una patina di legittimità al suo regime corrotto.

Ora sembra davvero essersi bevuto la sua stessa propaganda in merito agli ucraini. Credeva che avrebbero accolto con gioia i loro «liberatori» russi? Che si sarebbero arresi? Se lo credeva si sbagliava di grosso. Gli ucraini combattono, e anche se inferiori per uomini e armi, combattono duramente. Insegnanti, impiegati, casalinghe, artisti, studenti, dj e drag queen, tutti imbracciano le armi e vanno a sparare ai soldati russi, molti dei quali sono solo bambini che non sanno nemmeno che ci fanno lí.

L’Ucraina non cede di un millimetro, e sembra che Putin non riuscirà a prendere le sue città se non radendole al suolo, come una volta ha fatto con Groznyj e Aleppo. E non bisogna credere che solo perché Kiev è una città «europea», Putin esiterà nel raderla al suolo. I bombardamenti sono già cominciati.

Dopo lo shock iniziale, le democrazie occidentali – finalmente! – sembrano aver compreso la minaccia esistenziale che Putin rappresenta per l’ordine del mondo postbellico, per l’Europa, e per il nostro «stile di vita» che lui tanto disprezza. Vengono varate sanzioni schiaccianti, indipendentemente da quanto ci costeranno. In Ucraina arrivano armi da ogni parte e la Germania sembra aver improvvisamente capito che non può piú continuare a dipendere dalla gentilezza degli altri per la sua sicurezza e che ha bisogno di un esercito suo, un esercito vero ed efficiente.

La Russia viene massicciamente isolata a livello internazionale e la sua economia e le sue capacità saranno drasticamente danneggiate di conseguenza. Ma non basta. Finché Putin rimane al potere continuerà a raddoppiare la posta, a spingersi sempre piú oltre, a fare tutto il male possibile. Perché disprezza l’Occidente e il suo potere si basa completamente sulla violenza: non solo sulla minaccia della violenza, ma sul suo uso sistematico. Possiamo davvero credere che la sua minaccia nucleare sia solo un bluff? Ce lo possiamo permettere? Finché continuerà a regnare in Russia, nessuno si potrà ritenere al sicuro. Nessuno.

L’unico modo per uscire da questa crisi è rendere la disfatta di Putin in Ucraina cosí disastrosa per la Russia e i suoi veri interessi che la stessa élite non potrà fare a meno di rimuoverlo. E a tal fine si potrebbe fare molto di piú. I nostri governi apparentemente si sono concentrati a punire gli «oligarchi» russi, ma devono capire che Putin li disprezza e non si cura delle loro opinioni né delle loro proprietà, li considera solo bancomat da cui attingere a seconda delle sue esigenze.

Le sanzioni occidentali devono prendere di mira coloro che di fatto consentono a Putin di agire: il suo intero apparato amministrativo e quello della sicurezza. Non solo le poche decine di persone già individuate, ma le migliaia di ufficiali di secondo grado dell’amministrazione presidenziale, dell’esercito e dei servizi di sicurezza. Non si tratta di miliardari ma di multimilionari sí, gente che ha molto da perdere. Rovinate le vite di quelle migliaia di persone e lasciate decidere a loro di chi è la colpa.

Confiscategli le magioni in Inghilterra e in Spagna, proibitegli le vacanze a Courchevel e in Sardegna, buttate fuori i loro figli senza tante cerimonie da Harvard, Yale e Oxford, e fateli vivere in Russia, senza poter uscire e senza merci importate per spendere i loro soldi rubati. Fateglielo pagare davvero e pagare caro perché capiscano se vale la pena di mantenere sul trono uno zar pazzoide e affamato di potere. Lasciate che decidano se lo vogliono seguire nel baratro.

Durante gli ultimi ventidue anni la Russia è caduta nelle mani di un regime demenziale, corrotto e totalitario che noi abbiamo per molti versi facilitato. Ma è un grande Paese, un Paese che io ho amato profondamente, un Paese che ha prodotto persone meravigliose, donne e uomini meravigliosi, umani e giusti. Merita qualcosa di meglio di questa banda di ladri che lo svaligia sotto la copertura illusoria di fantasie imperiali e che devasta i suoi vicini per mantenere il potere assoluto.

La Russia merita la libertà, la stessa che l’Ucraina si è faticosamente guadagnata nel corso degli ultimi decenni. Un cessate il fuoco in Ucraina è il primo passo, urgente e vitale, e il totale ritiro della Russia è il secondo. Dopodiché Putin se ne deve andare.

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