PICCOLA POSTA
Le affermazioni di Alberto Negri e Francesco Borgonovo su Sarajevo e Pertini nei talk show ci dicono molto di quello che sta accadendo nel dibattito pubblico italiano
ono tempi gravi, e però spensierati. Mi avvisano che Alberto Negri, persona dalla quale avevo imparato parecchio e mi illudevo di dissentire solo in quanto ex-fumatore, ha serenamente dichiarato, nel programma “Piazza pulita”, che “a Sarajevo fu bombardato due volte il mercato; ci furono dozzine di morti una volta altre dozzine di morti l’altra volta; fu attribuito ai serbi, alcuni anni dopo si scoprì, dopo lunghissime indagini, che questi bombardamenti erano stati fatti dalle milizie bosniache”.
Aspetto qualche prova: nel frattempo, è semplicemente falso. Su quelle due stragi (febbraio 1994, agosto 1995) molto si discusse, anche perché i cetnici erano i campioni della strategia del lupo e dell’agnello: ma tutte le ricostruzioni credibili, a cominciare da quelle delle Nazioni Unite, le imputarono ai cetnici, che del resto facevano fuoco su Sarajevo da anni tutti i giorni e tutte le notti.
Qualcuno dubita ancora che la cerchia bosgnacca di Izetbegovic non avesse avvertito del secondo bombardamento di cui aveva avuto sentore così da sfruttare l’emozione indignata che gli fece seguito, e che segnò la reazione finale della Nato. Sono illazioni senza prova. Le sentenze del Tribunale internazionale dell’Aja decretarono la responsabilità dei serbo-bosniaci e ne condannarono alcuni degli autori. (Io ero lì, la prima volta con altri più esperti di me. Avevo un appuntamento con la mia banda di ragazzini proprio a Markale, di lì a un paio d’ore).
Negri ha pronunciato la sua frase, senza alcuna obiezione degli astanti, che immagino stralunati, ignari o intimiditi dalla disinvoltura, nel contesto della discussione sulla responsabilità del razzo sull’ospedale di Gaza, con l’effetto che ne conseguiva.
Ieri ho sentito con le mie orecchie, in un programma di Rai3, attaccato come sto alle notizie sul povero mondo, Francesco Borgonovo, di cui so poco e che si diceva schiettamente “di destra”, difendere, per così dire, Sandro Pertini, il quale sarebbe sì andato al funerale di Tito, nel 1980, ma con l’attenuante di non sapere ancora della responsabilità “nazista” di Tito nel genocidio delle foibe.
Pertini partecipò, da Presidente della repubblica italiana, al funerale di Tito insieme a “4 re, 31 presidenti, 6 principi, 22 primi ministri e 47 cancellieri”. Mancavano solo Carter e Fidel Castro – dovevano essersi messi d’accordo. (Ero anche lì, e viaggiavo con l’aereo presidenziale per la testata di Lotta Continua, sicché il cerimoniale jugoslavo mi dichiarò delegazione di partito e mi collocò accanto a Mário Soares; riuscii a evadere in fretta).
Ero al seguito di Pertini anche l’anno prima, nel viaggio jugoslavo che toccò Sarajevo, e che vide l’incontro cordialissimo fra i due vecchi a Belgrado – 83 e 87 anni. Scrivendone, potei citare l’incipit vocativo del Cicerone de Senectute: “O Tite…”.
Sulla scia di Borgonovo, che aveva un’aria sensata mentre diceva quelle enormità, ho visto in rete che la dannazione di Pertini in quanto visitatore funerario dell’infoibatore Tito è vasta e coltivata con accanimento, e così mi sono spiegato meglio la pagliacciata di Lucca.
E non so che Gentucca.