PICCOLA POSTA
La ferocia spietata le accomuna: le affidano la propria capacità di sopraffazione dei nemici e intimidazione dei sudditi, e altrettanto, se non di più, il proprio gusto carnale del sangue e della tortura
Non serve paragonare l’antisemitismo ad altre forme di razzismo. Che si fondano inizialmente su una diversità che si mostra o si pretende evidente: il colore della pelle, l’albinismo, la cultura, come per i popoli romaní. Benché anche l’antisemitismo si sia cercato giustificazioni biologiche e fisiognomiche, ciò che lo caratterizza e lo fa più esasperatamente rabbioso e frustrato non è la differenza, ma la somiglianza.
Una differenza così piccola da essere quasi impercettibile, e tuttavia sentita foriera di effetti enormi. La sproporzione porta con sé il sospetto di qualcosa di diabolicamente losco. L’antisemitismo è diventato presto il modello di ogni complottismo, e questo gli garantisce una perenne attualità, ravvivata oggi dalla paranoia di successo: l’incredulità e la credulità degli imbecilli.
Attualità e ubiquità: l’antisemitismo, quello perfezionato dei Protocolli, si fa strada dovunque, anche dove di ebrei in carne e ossa non ci sia traccia. E a rendere ancora più rabbioso l’antisemita è l’idea inspiegabile e paurosa di una religione che sembra unire persone perché ci credono a persone perché non ci credono.
Detto grossolanamente questo, e accantonati i paragoni impropri, posso dire un paio di banalità su Hamas e la mafia – quella vera, Cosa Nostra. La ferocia spietata le accomuna: le affidano la propria capacità di sopraffazione dei nemici e intimidazione dei sudditi, e altrettanto, se non di più, il proprio gusto carnale del sangue e della tortura (di più, alla lunga: fino a esserne traditi, quando non sanno più commisurare la brutalità alla convenienza).
C’è qualcosa di più rilevante, il rapporto torbido con il loro territorio. (E’ la differenza fra Hamas e Isis, che per il resto invece sono davvero affini: lo Stato islamico si conquista spettacolarmente un gran territorio con la forza bruta e l’appello all’islam sunnita del Califfato, e grazie alla lunga inerzia della cosiddetta comunità internazionale, ma non ha il tempo necessario a diventare meno straniero).
Della mafia si è rispettata tenacemente la radice sociale, economica e culturale, religiosa perfino, fino a suggerire al potere repubblicano di assegnarle, a interesse, una quota rilevante di autonomia: il codice mafioso era per la Sicilia qualcosa di simile alla sharia che sciagurati governanti d’occidente sono stati inclini a riconoscere alle minoranze musulmane – e anche lì al cuore della cosa non stavano i rapporti economici, la mafia che “dà da mangiare”, ma il trattamento delle donne.
La cosa culminò e insieme finì con Giulio Andreotti, che a quel riconoscimento di relativa e vasta autonomia con la mafia, e la Dc mafiosa, diede il nome bonario di “quieto vivere”, e poi, di fronte all’esorbitanza, ai suoi Ignazio Salvo e Salvo Lima e cadaveri allegati, provò a tamponare con un dito la diga crollata, e il processo sancì la sua carriera divisa in due.
La Sicilia è un grande paese, e Gaza è una striscia. La Sicilia, dopo averci provato, rinunciò alla secessione; a Gaza fu regalata, al costo della recinzione. In Sicilia si mandava periodicamente l’esercito, cautamente. Cosa Nostra, fra stretta e ubriaca, progettò le sue incursioni nel continente, qualcuna ne attuò, altre ne mancò. Fece stragi, fallì. Esagerò.
Cosa Nostra, che non è razzista e genocida se non altro perché ha altro cui pensare, non voleva distruggere l’Italia, ma conquistarla. Che la mafia non fosse la Sicilia, era vero e non vero: questa ambiguità era la posta, lo è ancora. E’ la posta, così diversamente, a Gaza.