di Aldo Grasso
Padiglione Italia
Personaggi da operetta che recitano la tragedia dell’umanità. Ne «Gli ultimi giorni dell’umanità», 1922 (con i fumetti, ogni tanto bisognerebbe ancora leggere i libri), Karl Kraus prefigura il nostro destino.
Privilegiando il parassitismo dell’opinione sul pensiero, stiamo trasformando un’immane tragedia in chiacchiere, slogan, isterie e fanatismi. Ogni sera nei talk vince chi le «spara» più grosse; le polemiche sulla mancata partecipazione di Zerocalcare a Lucca Comics hanno oscurato i reportage sulla guerra e il fumettista dimentica sempre di citare la mattanza di Hamas all’origine della reazione d’Israele; i social sono l’altare dei luoghi comuni, pietre d’inciampo del linguaggio e del ragionamento, ci rassicurano e ci rinsaldano nei bastioni delle nostre convinzioni, dove convivono con disinvoltura massacro, assuefazione e antisemitismo.
Senza affrontare la complessità, non è possibile capire come la guerra di religione e di terrore promossa da Hamas riguardi l’esistenza stessa d’Israele e dell’Occidente.
Kraus descrisse la Prima guerra mondiale come un intreccio allucinatorio di voci, una cerimonia tribale mascherata da spontaneità democratica, un vociferare di capannelli attorno al cadavere: «È l’ultimo rito che tiene insieme la società civile». Da allora, è passato più di un secolo ma gli ultimi giorni non finiscono mai.