di Luigi Chiarello
La crisi di rappresentanza svuota le urne.
Alle ultime elezioni il partito dell’astensione ha raggiunto vette mai viste. Se fino al 1979 votava più del 90% degli italiani, nel 2022 è andato ai seggi il 63,9% degli aventi diritto. Ma la frattura tra eletti e società non si esaurisce alla politica. Soffrono i corpi intermedi, noti come “parti sociali”. In particolare, soffre un mostro sacro della “Repubblica fondata sul lavoro”: il sindacato.
L’emorragia di consenso è costante. Ma silente. A setacciarla, dati alla mano, è l’ultima fatica di Raffaele Rio, presidente di Demoscopika: un saggio dal titolo “Oxypolitik” (Tangram Edizioni Scientifiche), che suona come un ceffone alle élites.
Le principali sigle sindacali stanno perdendo ogni anno migliaia di iscritti. Dal 2011 al 2022, i tesserati hanno registrato una contrazione di circa 850mila persone, di cui oltre 582mila al Sud, pari a poco meno del 70% del calo complessivo.
A pagare il dazio più salato, in valori assoluti, è la Cisl: meno 491mila iscritti. Segue la Cgil con un calo di 476mila tesserati. In controtendenza la Uil, che registra un +118mila iscritti. Sette regioni accusano le contrazioni maggiori: Campania (-197mila iscritti), Sicilia (-132mila), Lombardia (-99mila), Calabria (-96mila), Puglia (-94mila), Piemonte (-62mila) e Lazio (-54mila). I dati derivano dai siti ufficiali delle sigle sindacali e non tengono conto di tesserati all’estero e realtà affiliate alle “triplice”.
Anche l’Ocse raccoglie numeri sulle adesioni al sindacato. La cosiddetta densità (Trade union density), definita come il numero di iscritti netti in proporzione ai dipendenti (sono esclusi, dunque, coloro che non fanno parte della forza lavoro, disoccupati ed autonomi), conferma un calo costante di iscrizioni dal 2013. In base ai numeri estratti al 31 agosto 2023, il tasso di penetrazione del sindacato sul totale dei lavoratori è sceso dal 35,7% di dieci anni fa al 32,5% del 2019. E se calano gli occupati, calano pure gli iscritti in valore assoluto.
C’è poi un “vento” che il saggio annusa, analizzando i dati Istat al primo settembre scorso: nel 2022, solo lo 0,8% della popolazione dai 14 anni in su ha dichiarato di aver svolto attività gratuite per il sindacato; nel 2001 era l’1,5%. Quasi il doppio. Ma la percezione negativa di questo trend esplode se lo si confronta con coloro che hanno operato gratis per il volontariato: sono l’8,3%.
In termini assoluti, poi, rispetto a vent’anni fa, 312mila persone si sono defilate dall’impegno sindacale. Il crollo è al Nord: quasi metà dei rinunciatari (48,4%). Seguono Sud (36,5%) e Centro (15,1%).
E i datori di lavoro? Non ridono: nel 2018 (ultimo dato Ocse disponibile) sul totale degli addetti, il 78,3% lavorava in aziende affiliate ad associazioni di categoria; un decennio prima era l’81%.