Milei punta a ridurre al minimo il ruolo dello stato nell’economia e nella società.
Le sue proposte rischiano di peggiorare la già difficile situazione della popolazione più povera. La priorità alla lotta all’inflazione e l’ipotesi della dollarizzazione.
Un presidente senza maggioranza in Parlamento
Al secondo turno delle elezioni presidenziali in Argentina (19 novembre 2023) il 56 per cento degli elettori ha votato per Javier Milei, o forse più correttamente contro il peronismo. Il presidente eletto, di estrema destra, economista libertario anarco-capitalista, durante la campagna elettorale ha fatto numerose proposte per cambiare radicalmente il modello di capitalismo per il paese sudamericano e ridurre al minimo l’intervento pubblico nell’economia.
Milei è stato eletto anche con il voto di molti elettori moderati che avevano votato per la candidata di centro destra Patricia Bullrich della coalizione Juntos por el Cambio (JxC), arrivata terza al primo turno. La stessa Bullrich e l’ex presidente Mauricio Macri, uno dei leader di JxC, avevano dato il loro sostegno a Milei al ballottaggio.
Probabilmente molti sostenitori di JxC, pur non condividendo tutte le proposte di Milei, hanno valutato che il voto dei loro parlamentari sarà comunque essenziale per l’approvazione in Parlamento delle misure proposte dall’esecutivo. Infatti, il partito del presidente eletto, La Libertad Avanza (Lla), ha pochissimi parlamentari: solo 38 deputati su un totale di 257 e 7 senatori su un totale di 72.
Il problema della governabilità sarà molto delicato per la nuova amministrazione, che dovrà trovare una convergenza con parlamentari di altri partiti, almeno fino al 2025, quando si terranno le prossime elezioni legislative per rinnovare parte della Camera e del Senato.
Il programma elettorale
Il programma economico di Milei prevede la dollarizzazione, con chiusura della banca centrale, la riduzione del 15 per cento della spesa pubblica, il taglio delle tasse e la privatizzazione della maggior parte delle imprese pubbliche. È un programma coerente con il suo modello ideale di economia, che mira a una presenza minima dello stato e che si ispira soprattutto alle posizioni libertarie dell’economista Murray Rothbard e liberiste del premio Nobel Milton Friedman.
La situazione attuale dell’Argentina è però molto distante da questo ideale. Il settore pubblico è molto ampio, ci sono numerosi sussidi pubblici e controlli ai prezzi, il mercato dei cambi è caratterizzato da controlli e limitazioni alle transazioni e da una molteplicità di tassi di cambio fissi, che mantengono il pesos – la valuta nazionale – fortemente sopravvalutato.
È cresciuto tantissimo il divario tra il tasso di cambio ufficiale e quello informale: il primo, fissato dalla banca centrale, è 365 pesos per un dollaro americano, mentre il dollaro blu (cambio informale) ha superato i mille pesos per un dollaro.
L’Argentina, inoltre, vive una profonda crisi economica e sociale: il paese è in recessione con un’inflazione che a fine anno probabilmente supererà il 200 per cento e la povertà è arrivata al 40 per cento della popolazione. Gli interventi previsti dal programma di Milei rischiano di peggiorare ulteriormente la situazione economica della popolazione più povera nel breve periodo e di mettere in crisi la tenuta sociale.
Le priorità del nuovo governo
Molto probabilmente la priorità del nuovo governo sarà la lotta all’inflazione, obiettivo condiviso da tutti, anche se non sembra esserci accordo sulla strategia da seguire. Milei sostiene che il paese debba abbandonare il pesos e adottare il dollaro. Non c’è dubbio che questa politica farebbe crollare l’inflazione, perché non ci sarebbe più la monetizzazione del disavanzo di bilancio.
Però la dollarizzazione è una scelta estrema, praticamente senza ritorno, con il costo molto importante di perdere la possibilità di condurre la politica monetaria e di avere un prestatore di ultima istanza – la banca centrale – in caso di crisi. Le crisi di debito sovrano rischierebbero di essere ancora più frequenti.
La dollarizzazione richiede anche la disponibilità di dollari per fare il cambio e in questo momento le riserve ufficiali nette di valuta sono negative, poiché la Banca centrale argentina ha preso a prestito valuta, specialmente dalla Cina. Tuttavia, questo aspetto tecnico non è un ostacolo insormontabile. In primo luogo, nel 2024 la scarsità di riserve valutarie dovrebbe essere minore, perché la bilancia commerciale dovrebbe tornare ad avere un avanzo elevato, se le condizioni climatiche saranno favorevoli come previsto.
In secondo luogo, nell’attuale contesto geopolitico, gli Stati Uniti potrebbero valutare più positivamente la prospettiva della dollarizzazione, rispetto a quando il presidente Menem la propose nel 1999. Venticinque anni fa la supremazia del dollaro – come valuta di riserva, nel commercio e negli investimenti di portafoglio internazionali – non era minacciata. Oggi molti paesi emergenti e del Global South, soprattutto spinti dai Brics, auspicano una riduzione della dipendenza dal dollaro. Non è quindi da escludere che istituzioni finanziarie americane, pubbliche o private, possano questa volta facilitare la dollarizzazione nel paese sudamericano.
La strada per la dollarizzazione sarebbe comunque lunga e il nuovo governo deve affrontare l’emergenza dal 10 dicembre, giorno dell’insediamento. È quindi probabile che la nuova amministrazione inizi ad adottare varie misure, per esempio l’eliminazione dei controlli ai movimenti di capitale, l’adozione di un regime di cambi flessibili e l’utilizzo legale del dollaro americano, oltre al pesos argentino, nelle transazioni e nella denominazione dei contratti. Non sarebbe sufficiente a ridurre l’inflazione, ma potrebbe essere accompagnato dalla riforma della Banca centrale per garantirle autonomia e darle l’obiettivo della stabilità dei prezzi.
La dollarizzazione non risolverebbe, invece, gli squilibri fiscali che hanno portato l’Argentina al default sul suo debito pubblico nove volte, di cui tre dall’inizio del secolo. Il programma di Milei potrebbe anzi creare situazioni di disavanzo di bilancio. Avendo l’obiettivo di ridurre al minimo il ruolo dello stato nell’economia e nella società, il presidente eletto propone tagli consistenti alla tassazione e alla spesa pubblica. Ma siccome è più facile abbassare le tasse che ridurre la spesa pubblica, non è da escludere che i conti pubblici peggiorino.
I tagli drastici annunciati alla spesa sociale sono fonte di preoccupazione nell’attuale contesto argentino, caratterizzato da un forte aumento della povertà, e potrebbero alimentare movimenti di protesta, anche violenta. La riduzione della spesa pubblica in istruzione sarebbe preoccupante anche per le prospettive di crescita futura del paese, che ha già registrato una forte diminuzione del capitale umano: tra i paesi a reddito pro capite medio e alto, l’Argentina è l’unico dove la percentuale dei giovani con un titolo universitario è minore oggi rispetto alla generazione precedente.
Il risultato delle elezioni avrà conseguenze molto importanti anche per le relazioni geopolitiche del paese sudamericano. Milei, che ha una decisa retorica anti-socialista e anti-comunista, ha già dichiarato che non intende avere relazioni politiche con la Cina, non farà entrare l’Argentina nei Brics allargati o nella New Development Bank, la banca fondata dai Brics. È anche possibile che venga ritirata l’adesione dell’Argentina alla Belt and Road Initiative (Bri) cinese, avvenuta nel febbraio 2022.
Tuttavia, potrebbe prevalere l’interesse economico perché la Cina ha promesso impegni di investimento per quasi 24 miliardi di dollari nei settori energetico, minerario, infrastrutturale e tecnologico. Milei ha anche dichiarato che non intende avere rapporti con il presidente di sinistra del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, e che non è interessato a continuare a partecipare nel Mercosur, il blocco regionale che include anche il Paraguay e l’Uruguay. L’elezione di Milei rappresenta quindi un ulteriore ostacolo alla definitiva firma dell’Accordo di Associazione tra Unione europea e Mercosur, anche per la sua posizione negazionista sui cambiamenti climatici, considerati una falsità dell’agenda socialista.
Il presidente eletto Milei si è comportato come un populista con posizioni anti-establishment, anti-casta, che hanno trovato terreno fertile tra gli argentini, impoveriti dalla crisi economica e arrabbiati per i numerosi casi di corruzione di politici. Ma il suo obiettivo non è rinnovare la classe dirigente politica, “mandando a casa gli incapaci e corrotti”; il suo obiettivo è ridurre al minimo la classe politica e il ruolo dello stato nell’economia e nella società.