Bologna 2021-26. Il rimpasto e il territorio dimenticato (ilrestodelcarlino.it)

di Andrea Zanchi

Quando le esigenze della politica superano quelle 
del territorio, 

allora il territorio non conta niente.

Si potrebbe riassumere così, riadattando una famosa battuta cinematografica, il rimpasto della giunta metropolitana deciso l’altro giorno dal sindaco Matteo Lepore, e che ha fatto seguito a quello, solo di deleghe, che ha interessato Palazzo d’Accursio.

In Comune, il sindaco ha proceduto a una diversa assegnazione di compiti senza cambiare la squadra, anche alla luce delle nuove esigenze dettate dal caso Garisenda.

Ma in Città Metropolitana, complice il rinnovo forzoso della giunta imposto dalle amministrative della prossima primavera, il sindaco ha ribaltato il tavolo con la nomina dell’ex deputata grillina Giulia Sarti ad assessore alla lotta contro le mafie e agli affari istituzionali, deleghe che avrà anche in giunta comunale.

Una scelta dal chiaro sapore politico, rivendicato dallo stesso Lepore come modo per rinsaldare l’asse Pd-5 Stelle, con un occhio rivolto al passato e uno al futuro: mettere un pentastellato in giunta significa ristabilire l’equilibrio politico della coalizione che lo aveva portato a Palazzo d’Accursio due anni fa – e che nel frattempo aveva perso la componente del Movimento, visto che Bugani e Piazza hanno traslocato nel Pd – e, allo stesso tempo, ribadire che Bologna crede nell’idea di un’alleanza tra dem e grillini per Comunali e Regionali.

Ma a parte questo ruolo della città come avanguardia del ‘nuovo’ centrosinistra, la componente territoriale del rimpasto è pressoché inesistente. E non è un bene. Non è la prima volta che in politica si vedono nomine dettate più da ragioni strategiche che amministrative, e non sarà nemmeno l’ultima, ma questo rimpastino rischia di avere due conseguenze non indifferenti.

La prima è relegare Bologna a un modello politico isolato dal resto d’Italia e senza un vero appoggio nazionale (saranno le urne a decidere se la mossa si sarà rivelata lungimirante), la seconda è certificare il ruolo della Città Metropolitana, soprattutto nella percezione dell’opinione pubblica, a ente di secondo livello utile solo come camera di compensazione per le esigenze contingenti dei partiti.

E non, come dovrebbe essere, quale attore istituzionale in grado di raccordare e tenere insieme esigenze sempre più divergenti del capoluogo e della sua provincia. Un ente, in definitiva, buono per distribuire qualche delega agli scontenti, ai senza rappresentanza e poco altro. Questo sì che sarebbe il trionfo dell’antipolitica, altro che l’abolizione delle Province.

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