di Gianni Pardo
Il fiume di persone che fugge dalla Russia verso la Finlandia,
per evitare la coscrizione o per sfuggire alla repressione poliziesca (chissà, qualcuno magari ha chiamato guerra la guerra) ha talmente allarmato Helsinki che il primo ministro di quel Paese ha annunciato la chiusura dell’ultimo valico di frontiera.
La motivazione pare eccessiva: secondo le autorità finlandesi si tratterebbe di un attacco ibrido orchestrato da Mosca. Francamente, gli attacchi di Mosca hanno ben altri connotati di dimensione e di violenza.
Dunque, di che si tratta? Potrebbe essere un allarme per così dire etnico? I finlandesi, infatti, sono cinque milioni e mezzo (meno di Israele) e una minoranza rimane visibile anche se è piccola. Inoltre, non dimentichiamo che, storicamente, le minoranze possono essere il pretesto per un’invasione. Basterà citare un nome: Sudeti.
Ma in realtà temo si tratti dell’ennesima riprova dell’odio che la Russia ha seminato intorno a sé. Fra Ucraina e Polonia in passato non sempre i rapporti sono stati idilliaci; e tuttavia, quando è scoppiata quest’ultima guerra, la Polonia si è letteralmente prodigata, per l’Ucraina. Con vero slancio.
Nello stesso modo, malgrado i rapporti burrascosi con la Russia (1939), i finlandesi sanno benissimo che chi bussa alla loro porta non viene a costituire una quinta colonna della Russia ma fugge dalla Russia. E tuttavia il semplice fatto di essere russi sembra prevalere su ogni altra considerazione, persino umanitaria. E questo è molto, molto triste.
L’odio è un sentimento comprensibile, quando si sono subite cose tremende: ma è qualcosa che avvelena il cuore. Gli ebrei non potranno mai perdonare la Germania per la Shoah. Gli ucraini preferiscono morire che essere russi. E non immaginavo che persino in Finlandia l’odio potesse essere tanto forte. Ma forse è soprattutto paura. Una paura che la stessa adesione alla Nato non riesce a sedare.