I rischi del mancato sostegno a Kiev (avvenire.it)

di Andrea Lavazza

Occhi aperti sull'Ucraina

«Una società di sonnambuli» ha detto il Censis dell’Italia di questi anni. Sonnambuli sono gli americani che andranno a votare per Donald Trump il prossimo novembre secondo l’ex deputata Usa Liz Cheney, figlia del vicepresidente di G. W. Bush. Sonnambulo è chi agisce pur continuando a dormire, ma in questo caso vale l’inverso: ci addormentiamo durante la nostra routine. E così finiamo prede di chi è molto più sveglio di noi.

Sembra stia accadendo per l’atteggiamento occidentale verso la guerra in Ucraina e la Russia che ha aggredito il Paese vicino il 24 febbraio del 2022. A quasi due anni dall’invasione c’è una certa “stanchezza”, come affermò la premier Giorgia Meloni nell’intervista rubata dai comici di Mosca Vovan e Lexus. Una fatica che si sta traducendo in riduzione del sostegno sia militare sia economico sia politico a Kiev.

Ci si era colpevolmente illusi che la controffensiva della scorsa estate – peraltro mal preparata e segnata da disaccordi sulla strategia tra vertici militari americani e ucraini – portasse una soluzione miracolosa del conflitto e permettesse, di conseguenza, l’avvio di un disimpegno da parte dei Paesi schierati a fianco del presidente Zelensky.

La constatazione ormai palese che si è in presenza di uno stallo sul campo, con la prospettiva di un altro inverno di bombardamenti ordinati dal Cremlino sulle infrastrutture nemiche per lasciare al freddo la popolazione, sta progressivamente oscurando la crisi nel cuore dell’Europa, complice anche l’escalation in Medio Oriente e il ritorno a una quasi normalità sul versante energetico. In parole più crude, liberare l’Ucraina è diventato difficile e costoso, ci sono altre emergenze che premono, non abbiamo più la preoccupazione di gas e petrolio, alla fine trovare un modus vivendi con Vladimir Putin, che proprio ieri ha annunciato la sua candidatura per un altro mandato dal 2024 al 2030, può sembrare il male minore.

Il primo e più forte segnale è arrivato dal Senato statunitense: è stato bloccato il pacchetto di aiuti multimiliardario chiesto da Joe Biden ma avversato dai repubblicani, che in cambio vogliono una radicale stretta sull’immigrazione dai confini meridionali del Paese.

Le richieste pubbliche nascondono però la volontà diffusa tra i trumpiani, che ancora non è prudente esprimere apertamente, di portare Kiev ad accettare un compromesso (di fatto favorevole a Mosca). È la ricetta di Donald Trump il quale, se eletto, ha promesso di risolvere la guerra in un giorno.

E certo breve sarebbe la resistenza ucraina quando venissero a mancare i fondi e i rifornimenti bellici di Washington. A meno che l’Europa metta in campo uno sforzo straordinario. Esattamente il contrario di quanto si prospetta in vista del Consiglio del 14 e 15 dicembre.

Sul tavolo c’è un pacchetto di 50 miliardi a rischio di stop per il veto dell’Ungheria di Viktor Orbán, deciso a non dispiacere allo Zar Vladimir, il quale ormai non si fa scrupolo di appellarsi direttamente ai suoi “amici” nel fronte avversario. Si deve anche decidere se avviare il processo di adesione dell’Ucraina all’Unione, un passo decisivo per la sicurezza futura della nazione sotto attacco, ma anche in questo caso il rinvio di un anno è l’ipotesi che potrebbe evitare altre spaccature tra i 27 membri.

Sembra manchi un piano per il futuro anche a livello Nato, a esclusione di un cedimento alle condizioni di Mosca di fronte al crollo del dispositivo militare ucraino o della mancanza di coesione intorno a un indebolito Zelensky. Eppure, darla vinta a Putin dopo avere illuso un popolo reso martire da quasi due anni di attacchi crudeli in spregio al diritto internazionale non è un buon esercizio di cinismo e Realpolitik. Si tratta in realtà di un calcolo miope. C’è da guadagnare risparmiando sugli invii di armamenti e prestiti? Un po’ oggi, non domani.

Può aumentare il consenso nel proprio elettorato? Sì (Wilders avrebbe vinto in Olanda anche promettendo la fine del supporto a Kiev e il no al suo ingresso nella Ue), ma è una mossa emotiva e sbagliata. Dopo l’Ucraina, la Russia si prenderà anche la Moldova e invaderà i Baltici, sostengono i più allarmati. Scenario per ora eccessivo, che non suscita vere inquietudini. Stiamo allora a ciò che è già in corso, già più che sufficiente.

Non solo Putin sfida l’isolamento con una serie di vertici bilaterali, dall’Arabia Saudita all’Iran, ma agisce a tenaglia su vari terreni. È emersa in queste ore l’azione compiuta in Gran Bretagna dagli hacker di “Cold River” che, su impulso degli 007 russi, hanno per anni spiato e preso di mira su Internet politici, giornalisti e Ong, al fine di inquinare il processo democratico. Un’operazione che si potrà ripetere (o forse lo si sta già facendo) in altri contesti di voto (e il 2024 sarà anno di molte consultazioni).

Ad alcune migliaia di chilometri di distanza da Londra, intanto, il vicemininistro della Difesa russo, generale Junus-bek Bamatgireevic Evkurov, veniva ricevuto con tutti gli onori dalla giunta golpista del Niger che ha messo fine alla missione europea Eucap e abrogato la legge restrittiva sulle migrazioni introdotta nel 2015. Rafforzando i rapporti con i nuovi leader di Mali e Burkina Faso, Mosca completa l’accerchiamento del Sahel e si procura un’arma non convenzionale, come l’imponente flusso di rifugiati che potrebbe incoraggiare verso la Libia e, quindi, le coste italiane e spagnole.

Infine, la polveriera che sta costruendo molto più vicino a noi, nei Balcani, dove svende energia alla Serbia, tradizionale alleata, e soffia sui nazionalismi di Bosnia e Montenegro fino alla Macedonia del Nord, creando un potenziale focolaio di destabilizzazione per l’Europa che volesse continuare a contrastare attivamente l’espansionismo del Cremlino.

Dimenticare Kiev e chiudere gli occhi davanti alle insidie provenienti dalla Russia è una tentazione pericolosa. Sia sul piano umanitario (sui campi di battaglia e nelle città ucraine si continua a morire) sia sul piano geo-strategico rimane vitale tenere accesi i riflettori sulla crisi e cercare soluzioni praticabili di lungo periodo che siano in linea con i nostri valori e i nostri interessi.

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