di Massimo Gramellini
Il caffè
Non saprei dirvi se Davigo fosse veramente Davigo o una forma di intelligenza artificiale che indossava la faccia di Davigo, ma certo neanche Torquemada a tavola con Bruto e Robespierre si sarebbe lasciato scappare quel che l’ex magistrato di Mani Pulite ha dichiarato ai microfoni di Fedez in risposta alla domanda: «Un po’ di dispiacere per il suicidio di un grande imprenditore come Gardini, lei lo ha provato?».
«Certo che dispiace», ha concesso Davigo in un sussulto di magnanimità, per affrettarsi ad aggiungere: «Prima di tutto, il fatto che uno decida di suicidarsi è che lo perdi come possibile fonte di informazioni». Una riflessione che emana lo stesso calore di un ghiacciolo alla menta mangiato in un igloo e che potrebbe persino suonare sorprendentemente allusiva: in quegli anni furono proprio i detrattori di Mani Pulite a sostenere che, con il suicidio di Gardini, fosse andato perduto un testimone in grado di indicare gli ex comunisti tra i beneficiari della famosa tangente Enimont.
Però il gratuito cinismo di quelle parole affossa qualsiasi altra considerazione e induce a chiedersi: le penserà davvero, oppure lo hanno disegnato così? Intendiamoci, non dubito che Davigo sia l’unico lettore de «I Miserabili» a fare il tifo per l’ispettore Javert invece che per Jean Valjean, ma ho l’impressione che si sia anche un po’ calato nel personaggio del fustigatore duro e puro.
E che, come talvolta capita agli attori troppo acclamati, non riesca più a uscire dalla parte.