Diritti
In un saggio pubblicato su Foreign Affairs, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba spiega quanto sia deleterio continuare a parlare di war fatigue e quanto sia necessario continuare ad armare Kyjiv che sta combattendo in nome del mondo libero
Agli ucraini non è bastato difendersi per oltre un anno e mezzo con coraggio e abnegazione, resistendo agli invasori russi e smentendo giorno per giorno tutte le previsioni fatte dagli analisti geopolitici nelle loro tiepide case. Nei piani di Putin, il Cremlino avrebbe dovuto installare un governo fantoccio due giorni dopo l’invasione, e invece la guerra continua da ventuno mesi e gli ucraini hanno riconquistato tanti territori nella loro controffensiva.
In questo stallo che dura da tempo il nemico peggiore per gli ucraini non è sul campo di battaglia, ma fuori. La guerra della comunicazione è altrettanto dura e diversi media continuano a diffondere scetticismo sulle possibilità dell’Ucraina di ricacciare fuori i russi. Nel farlo, continuano a ripetere due parole che vogliono dire tutto e niente: war fatigue. Ovvero i segni di stanchezza, disillusione e apatia che mostrano le società coinvolte in un conflitto prolungato; un senso di scoraggiamento riguardo alla possibilità di raggiungere una vittoria.
In un lungo articolo su Foreign Affairs, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba cerca di spezzare questa narrazione, spiegando che il mondo ha dimenticato troppo in fretta la straordinaria controffensiva dell’autunno 2022 con cui gli ucraini hanno riconquistato oltre la metà dei territori occupati, compresa la regione di Kharkiv e la città di Kherson che all’inizio del conflitto sembravano irrimediabilmente perdute.
Così come è stata dimenticata la vittoria ucraina nel Mar Nero, ripristinando il flusso costante di esportazioni marittime fino a poco tempo fa bloccati dai sommergibili russi, e la strategica conquista della testa di ponte sulla sponda orientale del fiume Dnepr. Per non parlare dei falliti assalti dei russi su Avdiivka e Kupiansk, respinti dall’esercito ucraino.
«La liberazione di ogni miglio quadrato di territorio richiede un enorme sacrificio da parte dei nostri soldati – ma non c’è dubbio che la vittoria sia raggiungibile. Qualsiasi risultato diverso da una netta sconfitta della Russia in Ucraina avrebbe implicazioni preoccupanti, e non solo per il mio Paese, ma causerebbe uno scompiglio globale che minaccerebbe anche gli Stati Uniti e i suoi alleati».
Insomma esiste un modo per vincere e non è certo quello della rassegnazione e della sottovalutazione dei progressi lenti ma costanti. Anche perché cedere proprio ora a un compromesso al ribasso potrebbe spingere altri autocrati nel mondo ad allargare le loro sfere regionali di influenza, sapendo che rimarrebbero impuniti dal diritto internazionale, sfidando apertamente i valori del mondo libero.
Per Kuleba il problema è legato alla percezione della guerra da parte degli occidentali che non capiscono quanto faccia più male al Cremlino una lenta ma inesorabile riconquista localizzata, metro per metro, rispetto a una irrealistica avanzata che farebbe solo guadagnare terreno un giorno per poi riperderlo quello successivo.
«Tutti vorrebbero uno sfondamento in stile hollywoodiano sul campo di battaglia che porti a un rapido collasso dell’occupazione russa. Anche se i nostri obiettivi non verranno raggiunti da un giorno all’altro, il continuo sostegno internazionale all’Ucraina garantirà, nel tempo, che le controffensive locali ottengano risultati tangibili in prima linea, distruggendo gradualmente le forze russe e vanificando i piani di Putin per una guerra di lunga durata».
Gli ucraini però hanno bisogno di almeno tre condizioni per riconquistare territori. Primo: degli aiuti militari adeguati alla controffensiva. Non solo armi d’assalto ma anche jet, droni, sistemi di difesa aerea, munizioni di artiglieria e capacità di lungo raggio, che permettano di effettuare attacchi profondi dietro le linee nemiche. Secondo, rimpinguare le riserve militari ucraine sviluppando l’industria militare americana ed europea.
Terzo, un approccio realista (ma non cinico) sul negoziato con la Russia. Tradotto: non serve fare la pace solo perché siamo stanchi di sentir parlare della guerra. Anche perché è lo stesso Putin a non voler mediare, come ha ricordato nella delirante conferenza stampa (se così vogliamo chiamarla) di fine anno: «Nelle operazioni dell’anno scorso la Russia ha formulato tre obiettivi: de-nazificare, de-militarizzare e neutralizzare l’Ucraina; quindi rovesciare il governo di Volodymyr Zelensky, smantellare le forze armate ucraine, e impedire a Kyjiv di entrare a fa parte della Nato», e poi ha aggiunto. «Se non vogliono fare accordi su questo, saremo costretti a prendere altre misure, come quelle militari: o ci mettiamo d’accordo, o la risolveremo con la forza».
Stando così le cose, perché continuiamo a parlare di una pace che lo stesso Putin neanche vuole? Secondo Kuleba anche un semplice cessate il fuoco sarebbe deleterio: «Metterebbe semplicemente in pausa i combattimenti fino a quando la Russia non sarà pronta a compiere un’altra avanzata, consentendo alle truppe d’occupazione russe di rafforzare le loro posizioni con cemento e campi minati, rendendo quasi impossibile scacciarle in futuro e condannando milioni di ucraini a decenni di repressione sotto la loro occupazione».
Non a caso il Cremlino ha stanziato per il solo 2024 trentacinque miliardi di dollari (3,2 trilioni di rubli) per difendere i territori ucraini occupati.
La Russia inoltre ne approfitterebbe per pianificare un attacco più brutale tra pochi anni, coinvolgendo potenzialmente non solo l’Ucraina ma anche i paesi vicini e persino gli Stati Ue. «Coloro che credono che la Russia non attaccherà un paese della NATO dopo aver celebrato il successo in Ucraina dovrebbero ricordare quanto sembrasse inimmaginabile un’invasione su larga scala dell’Ucraina solo due anni fa».
Nell’approfondimento su Foreign Affairs Kuleba sottolinea un paradosso straniante tra il racconto mediatico ossessionato dalla war fatigue contrapposto alla risolutezza di diplomatici, strateghi e politici occidentali che sanno quanto sia importante continuare ad aiutare l’Ucraina in questo momento. Il momento è simile a quello del 1944 quando nei giornali occidentali riecheggiavano le stesse parole di sconforto. Nonostante quello scetticismo gli Alleati hanno proseguito la loro lenta controffensiva. E poi sappiamo com’è finita.
Una lezione della Storia che gli occidentali, e in particolare gli americani dovrebbero ricordare invece di pensare solo al costo economico, pari al tre per cento del bilancio annuale della difesa statunitense. «La maggior parte di questo denaro è stato di fatto speso negli Stati Uniti, finanziando l’industria della difesa statunitense, sostenendo lo sviluppo di tecnologie all’avanguardia e creando posti di lavoro americani, motivo per cui alcuni leader aziendali locali negli Stati Uniti hanno si è pubblicamente opposto al rifiuto o al taglio degli aiuti militari all’Ucraina. Non è mai stato come fare la carità.
Ogni dollaro investito nella difesa dell’Ucraina restituisce chiari dividendi in termini di sicurezza per i suoi sostenitori. Ha consentito all’Ucraina di respingere con successo l’aggressione russa e di scongiurare una disastrosa escalation in Europa», spiega Kuleba.