Mes, la Camera boccia la ratifica. La Lega esulta, ma l’Italia rischia di pagarla cara (eunews.it)

di Emanuele Bonini

Per il governo Meloni il nodo della credibilità 
non tanto interno quanto, soprattutto, in sede 
europea, a partire per Giorgetti. 

Si sconfessa anche Giuseppe Conte, che lo votò quando era prima ministro. Donohoe: “Deplorevole”

Addio Mes. L’Italia boccia e affossa la proposta di riforma del Meccanismo europeo di stabilità. La Camera dei deputati non ratifica e anzi si oppone al progetto di trasformazione del fondo salva-Stati. Basta poco al ramo parlamentare, il voto dell’articolo 1, quello in cui si chiede di procedere alla ratifica: 72 voti a favore, 184 voti contrari, 44 astenuti. Il Mes è affossato. Perché le nuove regole entrassero in funzione serviva che tutti i parlamenti nazionali approvassero il trattato di riforma, e mancava solo l’Italia. Adesso l’iter non è completo e tutto deve essere rifatto daccapo.

Le Lega esulta. “Il Parlamento è sovrano e oggi ha respinto il Mes, uno strumento legato a un’altra epoca che non avrebbe portato alcun beneficio al Paese, ma solo condizionalità, ricatti e cessioni di sovranità a Bruxelles”, il commento di Antonio Maria Rinaldi, membro della commissione Affari economici del Parlamento europeo. Tra le fila del Carroccio sono in tanti a esultare, a cominciare dal segretario, Matteo Salvini, che parla di “vittoria”.

Che sia una vittoria però è tutto da dimostrare. Politicamente i partiti di maggioranza, che hanno deciso di affossare il Mes, possono certamente guadagnare consensi interni.

Del resto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aveva pubblicamente dichiarato che non avrebbe mai avallato la proposta di riforma del Mes. Un progetto che certamente non piace all’attuale esecutivo, ma che impedisce a tutti i partner di procedere con un tassello considerato fondamentale nel processo di completamento dell’unione bancaria. Dall’1 gennaio 2022 , almeno secondo le intenzioni di un patto sottoscritto anche dall’Italia, avrebbe dovuto fornire al Fondo di risoluzione unico, istituito per ristrutturare o liquidare le banche in difficoltà.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti (Lega), si era speso per quanto possibile alla ricerca di una soluzione. Ha cercato di convincere e rassicurare i ministri dell’Economia e delle Finanze degli altri Paesi. Adesso la sua credibilità ne esce molto ridimensionata. Ma anche il rapporto con tutti i membri di governo, a partire da Antonio Tajani, figura nota e stimata a Bruxelles, rischia di essere riconsiderato.

L’Italia si assume la responsabilità di aver fatto saltare un percorso di trasformazione dell’Unione, oltretutto con la logica del ‘perché mettere i miei soldi per aiutare le banche degli altri?’ che presto o tardi verrà ripresentata al Paese, soprattutto da è tradizionalmente poco incline a concessione. Leggasi frugali, ma pure gli altri sovranisti, amici solo in teoria di chi, come la Lega, fa del “prima io” il proprio modo di dire.

Riferimento neanche troppo velato a Geert Vilders, trionfatore delle ultime elezioni nei Paesi Bassi con il suo Pvv. Euroscettico, anti-immigrazione, amico di Salvini (il Pvv fa parte del partito Identità e democrazia, lo stesso della Lega, non ha parlamentare europei perché alle elezioni del 2019 non ha raggiunto la soglia di sbarramento) ma capace di fare il giro del web e delle edicole di tutta europea con quel cartello che recita “geen cent naar Italie” (neanche un centesimo all’Italia).

Il governo, qualunque cosa abbia avuto in mente, ha mostrato tutto il peggio di sé. Giorgetti potrà sempre dire che il Parlamento è sovrano, ma lui in quanto tale è stato sconfessato dal suo stesso partito. Il governo dimostra di non avere controllo sul Parlamento, cosa sana in democrazia, certo, ma dove comunque la maggioranza è espressione della squadra di governo. Se non c’è la colpa c’è il dolo, o viceversa.

Peccato che l’Europa funzioni in modo diverso. E’ vero, come rivendicano Lega e Fratelli d’Italia, che questa riforma del Meccanismo europeo di stabilità, non l’avevano voluta loro. Anche se, a dirla tutta, la riforma del Mes venne concordata dai capi di Stato e di governo al termine dell’Eurosummit del dicembre 2018, primo governo Conte, coalizione Lega-5Stelle. A nome di chi parlava, allora, Giuseppe Conte? Primo corto circuito tutto italiano.

Oggi però il Movimento 5 Stelle, di cui Giuseppe Conte è leader, ha votato contro. Come fidarsi di chi prima promette una cosa e poi ne fa un’altra al momento del dunque? Secondo corto circuito, che intacca non solo credibilità e affidabilità degli interessati, ma di un altro spettro partito-politico tricolore.

Ma l’Europa, si diceva, funziona in modo diverso. Ogni impegno non riguarda mai l’immediato. Le grandi riforme e le agende di lungo respiro coinvolgono per forza i governi successivi, anche se di colore diverso da quello che sottoscrive gli impegni. Dire ‘questo accordo non l’ho sottoscritto io’ non aiuta a costruire un percorso comune. Semmai, è utile a disfarlo. Il governo patriottico probabilmente non si rende conto di quanto potrebbe costare, politicamente, tutto questo.

A maggior ragione, ora che i cuscinetti di salvataggio non ci sono, le regole sui conti pubblici per non alimentare la spirale del debito sovrano, alto, altissimo in Italia, verranno attuale senza sconti e con approccio burocratico. A Bruxelles i commenti sul voto di Montecitorio si preferisce evitarli. Ma non è un silenzio benevolo. Al contrario.

Nulla è ancora perduto. Un nuovo testo di ratifica del Mes può tornare alla Camera, ma non prima di sei mesi. Vale a dire dopo le elezioni europee (6-9 giugno 2024). Magari anche per logiche elettorali la maggioranza si prende tempo, e lo fa perdere agli altri. Poco male. In Italia, in fin dei conti, si vede cosi. Bisognerà capire come si vede altrove e fino a che punto i partner sapranno passare sopra a tutto questo.

“Resta deplorevole che non siamo stati in grado di realizzare il backstop (il paracadute finanziario, ndr), una pietra miliare importante verso il completamento dell’Unione bancaria nell’UE”, commenta il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe. “Pur nel pieno rispetto delle deliberazioni parlamentari, me ne rammarico per l’esito”.

Quindi, l’affondo, a proposito di affidabilità e credibilità. “L’Italia rimane l’unico paese che blocca la finalizzazione di una riforma su cui tutti ci siamo impegnati nel 2021“. Tutti, inclusa l’Italia. Che non si libererà facilmente dei partner. “Continuerò il mio impegno al riguardo con le autorità italiane nei prossimi mesi”, chiosa Donohoe.

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