Gli ucraini con cittadinanza europea potrebbero aiutare Renew Europe alle elezioni (linkiesta.it)

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Lista gialloblu

La diaspora da Kyjiv e dintorni, o per lo meno quella con diritto di voto, potrebbe garantire l’elezione di almeno quattro o cinque europarlamentari nel gruppo centrista e liberale, che è anche il più schierato al fianco del popolo invaso dalla Russia

Un giorno, mentre verranno ricostruite le cittadine di frontiera devastate dalla guerra e dalla lunga occupazione russa, nei palazzi pubblici ucraini, accanto alla bandiera nazionale, verrà innalzata quella dell’Unione europea. Quel giorno, una cinquantina di nuovi parlamentari da Kyjiv arriverà a Strasburgo o a Bruxelles, ma forse quel giorno avremo anche superato l’assurdità della doppia sede per il Parlamento Europeo.

In attesa di tutto questo, ci si interroga sul futuro del sostegno all’Ucraina contro l’impero del male: con il serio pericolo di un nuovo quadriennio trumpiano alla Casa Bianca, il peso rischia di spostarsi su un’Europa dove le famiglie politiche non sono tutte alla stessa pagina e i capricci del solo Viktor Orbán mettono in pericolo il prossimo finanziamento. Nel frattempo, non si sono create le condizioni per poter stare al sicuro dagli orchi del Cremlino senza fare affidamento sull’imprevedibile politica americana.

Questo problema se lo erano già posto i bosniaci una trentina di anni fa: quando ancora non si erano concretizzati gli accordi di Dayton, a qualcuno venne in mente di dare una rappresentanza alla Bosnia Erzegovina nel Parlamento Europeo senza che questo paese ne facesse effettivamente parte. L’esperimento non riuscì, ma può essere di ispirazione per un nuovo tentativo ucraino nel 2024.

L’iniziativa arrivò dal filosofo francese Bernard-Henri Levy che, assieme ad altri nomi di peso della politica francese (su tutti l’eurodeputato socialista Léon Schwartzenberg), mise in piedi una lista chiamata “L’Europe commence a Sarajevo” per correre alle elezioni europee del 1994.

I sondaggi indicavano un possibile superamento della soglia del cinque percento, ma, a pochi giorni dal voto, il filosofo disse che l’esperimento di mettere la questione bosniaca al centro della politica francese era riuscito e non era necessario il dispiego di una nuova lista. Essendo comunque stata registrata, L’Europa comincia a Sarajevo prese l’1,57 per cento.

Un anno dopo, complice l’ingresso della Svezia nell’Unione europea attraverso l’esito positivo del referendum del novembre ’94, venne indetta un’elezione suppletiva per l’ingresso all’Europarlamento di ventidue rappresentanti svedesi.

I sostenitori della Bosnia ci riprovarono, questa volta affrontando la sfida senza il contributo di navigati esponenti politici: la Sarajevolistan rimase sotto la soglia di sbarramento del quattro percento, ma riuscì a catalizzare l’attenzione degli osservatori.

L’esperimento fu reso possibile dalla presenza di consolidate comunità bosniache nei due Paesi, tali da permettere alle stesse la partecipazione al voto grazie alla doppia cittadinanza.

Trent’anni dopo, quali sarebbero le prospettive degli ucraini se una lista decidesse di portare avanti i loro interessi nel resto del continente? In Italia, dove si ottiene la cittadinanza dopo una permanenza di almeno dieci anni, gli ucraini residenti nel 2012 erano oltre duecentomila. In Germania, dove ci vogliono almeno otto anni, nel 2016 erano circa centotrentaseimila. Il record spetta alla Polonia, con oltre due milioni di ucraini residenti dal 2018.

Non sono propriamente numeri tali da garantire il superamento della soglia di sbarramento, specialmente in Italia dove il quattro percento è un obiettivo velleitario anche per alcune formazioni politiche piuttosto radicate, ma costituiscono un potenziale sostegno per singoli candidati e candidate all’interno di una lista.

Numeri alla mano (e senza considerare i candidati ripescati), il leghista Marco Zanni è entrato all’Europarlamento nel 2019 con diciannovemila preferenze, il meloniano Carlo Fidanza con poco più di diecimila, entrambi nella circoscrizione Nord-Occidentale. In Germania, il Partito Pirata ha eletto un esponente a Bruxelles e Strasburgo grazie all’assenza della soglia di sbarramento: sono stati sufficienti duecentoquarantatremila voti.

Se, ipoteticamente, i numeri sembrano poter dare speranze ad esponenti ucraini (ovviamente con doppio passaporto), quali sono le formazioni politiche in grado di ospitare un progetto simile a quello adottato in favore della Bosnia negli anni ’90?

Gli eurogruppi di estrema sinistra (GUE/NGL) e di estrema destra (Identità e Democrazia) hanno già ampiamente dimostrato la propria ambiguità, quando non addirittura sudditanza, nei confronti di Mosca. In Verdi e Conservatori convivono anime diverse, mentre i Socialdemocratici sono stati recentemente costretti ad allontanare gli esponenti slovacchi per le loro tirate anti-Kyjiv e non è detto sia finita qui, con il costante voto contrario di alcuni esponenti, ad esempio quelli eletti in quota Partito democratico.

Gli unici gruppi ad essere più o meno integralmente schierati con Kyjiv sono Popolari e Renew Europe, ma i primi dovranno giustificare flirt passati o presenti con partner di governo decisamente più compromessi con la Russia, ad esempio in Italia o Austria.

Rimane Renew Europe che, dopo l’ambiziosa proposta di Macron per portare Mario Draghi a Palazzo Berlaymont, dovrà fare i conti con le fratture fra i partiti nazionali: in Italia, Svezia, Danimarca, Finlandia e Paesi Bassi la rappresentanza liberale rischia di essere limitata (o di scomparire del tutto) a causa della marcia separata dei membri del gruppo centrista. Proprio Macron potrebbe contare su Valéria Faure-Muntian, già parlamentare di origini ucraine nel quinquennio 2017-2022 e ora presidentessa di Women4Cyber France.

Durante il suo mandato all’Assemblea Nazionale, Faure-Muntian era stata a capo del Comitato di Amicizia Francia-Ucraina, ma, interpellata su questa ipotesi, non si sbilancia: «Non sono al corrente di questa eventualità, mi sembra un discorso ancora prematuro», informa Faure-Muntian. «Ad ogni modo, tutto è possibile», conclude l’ex parlamentare.

Un altro motivo di potenziale partnership fra una delegazione ucraina e l’eurogruppo liberale è l’orientamento del partito di maggioranza a Kyjiv, Servitore del Popolo, fondato dal presidente Volodymyr Zelensky sulla scia del successo dell’omonima serie televisiva.

Servitore del Popolo è membro osservatore dell’Alde, l’Alleanza Liberaldemocratica Europea, ovvero il partito paneuropeo a cui fa riferimento Renew Europe e di cui sono membri associati Azione e PiùEuropa. All’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, invece, i rappresentanti ucraini in quota Servitore del Popolo sono divisi fra la delegazione Alde e quella dei Conservatori e Riformisti assieme a Fratelli d’Italia.

Numeri alla mano, la diaspora ucraina, o per lo meno quella con diritto di voto grazie alla doppia cittadinanza, potrebbe garantire l’elezione di almeno quattro o cinque parlamentari nel gruppo di Renew Europe e un altro potrebbe arrivare dalla Spagna, dove però Ciudadanos pare aver chiuso definitivamente i battenti, lasciando scoperto il fronte liberale.

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