di Roberto Gressi
Slanci futuristi e un processo per diffamazione.
Gli infortuni del meloniano della prima ora, fino alla bufera per lo sparo alla festa di capodanno
Andrea Delmastro Delle Vedove, cognome chilometrico. La tentazione di aggiungere «Serbelloni Mazzanti Viendalmare» è di una malignità gratuita che manco Lucignolo, perché nulla lo accomuna alla contessa di fantozziana memoria.
Se non la sfortuna, la iella e quel malocchio che non se ne va nemmeno con il sale, con l’aglio e con le litanie in dialetto. «Capovaro, posso andare?», cantilena la contessa. E nell’ordine abbatte con la bottiglia di champagne il rag. Ugo (due volte), il sindaco, il ministro della Marina mercantile e una baronessa.
Sfortuna, che te lo eri orchestrato bene il giochetto con il tuo compagno di stanza. Te ne stai lì, in cucina, con Donzelli che fa il caffè e gli dici: «Dai, Giovanni, metticela un po’ di miscela, che sennò viene acqua acqua». E intanto, mentre aspetti che esca, gli racconti delle registrazioni di Cospito al 41 bis. Donzelli abbocca, o fa finta di abboccare, e le sciorina a Montecitorio. Apriti cielo, ti ritrovi le opposizioni che chiedono le dimissioni da sottosegretario alla Giustizia e un rinvio a giudizio per rivelazione del segreto d’ufficio.
Iella. Chiami «Capitan Fracassa» il procuratore della Corte dei conti che aveva aperto un fascicolo sull’assessora regionale di FdI, Elena Chiorino, che aveva deliberato l’acquisto di libri sulla storia di un martire delle foibe da donare alle scuole, poi bloccato per Covid, e ti tocca un processo per diffamazione.
Ti carichi due bustoni di cibo rimasto dal cenone da infilare in macchina ché, «ragazzi, io ve lo dico, il pranzo del primo dell’anno ve lo fate con gli avanzi». E in tua assenza un deputato di FdI, che sì, lo conosci, ma amico poi, neanche per sogno, e quello si mette a mostrare una pistoletta con il colpo in canna. Piccola, sì, ma che spara proiettili veri, e non si sa come azzoppa un commensale. Ambulanza, polizia, carabinieri, bufera politica. E questo, scusate, è proprio malocchio.
Andrea Delmastro Delle Vedove nasce in quel di Gattinara 47 anni fa, il 22 ottobre, giusto in tempo per infilarsi in zona Cesarini nel segno della Bilancia. I Bilancia, si sa, apprezzano il ragionamento e il pensiero, rifiutano i contrasti accesi e violenti, sono abili nel trovare soluzioni pacifiche, detestano la maleducazione e ricercano la galanteria. Che certo non vuol mica dire essere remissivi.
Pare che nei corridoi di Montecitorio lo chiamino simpaticamente «Satanello». Energico e un po’ guascone, appassionato, romantico, futurista, cresciuto in compagnia della generazione Atreju, la costola di Fratelli d’Italia di stretta osservanza meloniana. Di Giorgia è stato anche avvocato, fino a che la nomina a sottosegretario non l’ha portato a sospendere la sua iscrizione all’Ordine professionale di Biella.
Strali memorabili contro «dj Fofò» Bonafede, verso Roberto Speranza, «i cui neuroni concepiscono solo chiusure», Laura Boldrini che fa «pipponi sul sessismo» e l’odiato Cts, il Comitato tecnico scientifico dei tempi del Covid, che una volta in Aula disse di voler prendere «a calci nel culo».
«Porto in Parlamento l’anima profonda del popolo italiano — ha raccontato al Giornale.it — e per farlo a volte bisogna preferire il linguaggio di verità a un linguaggio consono. E dopo un anno in cui gli italiani sono stati incarcerati senza pena e senza colpa su suggerimento del Cts, beh: ce n’era a sufficienza per suggerire al ministro di cacciarli a pedate nel didietro».
Quando Giorgia Meloni, nel 2012, fonda Fratelli d’Italia, non si cura dei rischi: «Fu una chiamata alle armi, cui si risponde come Garibaldi col Re: obbedisco, e basta. Perché era quello il posto migliore dove ricostruire la destra o comunque il più onorevole dove cercare la bella morte».
Eh sì, qualche volta gli scappa la mano. Come quella volta ad Aosta, a un incontro di FdI, quando spiegò che è necessaria una riforma del Consiglio superiore della magistratura che «preveda di spezzare le reni al correntismo cancerogeno che lede anche l’onorabilità della magistratura».
Poi, come in ogni biografia che si rispetti, anche un po’ di aneddotica, dove cronaca, storia e leggenda si confondono. Giovane universitario a Torino si finge comunista e si imbuca in un raduno di sinistra, e lì cerca di sostituire i cartelloni di Mao con altri fatti da lui con la foto di Gabriele d’Annunzio, resistendo eroicamente al tentativo di linciaggio. E a Viterbo, nel 2004, al congresso di Azione Giovani. Amante della velocità, sia in auto che in moto, nel segno del Futurismo, si era fracassato una gamba.
Pure in sedia a rotelle cercò di lanciarsi contro Giovanni Donzelli, tra le risate, per risolvere con i fatti una disputa sull’Islam. Sfida anche con Roberto Fico, allora presidente della Camera. Fratelli d’Italia aveva srotolato in Aula una lunga bandiera italiana e Fico aveva chiesto ai commessi di rimuoverla. Delmastro se ne impossessò, dribblò i commessi e si barricò in una stanza gridando: «Fico! Non avrai mai il mio tricolore!».
Insomma, un combattente, di quelli che magari averceli, in squadra. Non fosse per la sfiga. E il 2024 è pure bisestile.