Partita europea – L’occasione perduta del fenomeno migratorio
l problema dell’emigrazione ha messo in crisi e sta sempre più mettendo in crisi la politica di tutti i paesi democratici, finora incapaci di accordarsi nel preparare concrete e organiche risposte.
Eppure le migrazioni sono un fenomeno costante della storia dell’umanità.
I numeri di oggi non sono molto diversi rispetto a cinquanta o sessant’anni fa e, ovviamente, nemmeno paragonabili a quelli dell’immediato dopoguerra. Inoltre la maggioranza delle migrazioni è interna ai singoli paesi e solo una piccola frazione si dirige verso le nazioni democratiche ad alto livello di reddito.
I paesi poveri ospitano infatti un numero di rifugiati nove volte superiore rispetto a quelli dei paesi ricchi. Tuttavia, in qualsiasi paese democratico del mondo avanzato (indipendentemente dalla quantità effettiva del flusso migratorio) le elezioni si vincono schierandosi contro l’immigrazione.
In ogni campagna elettorale tutti gli elementi negativi della vita politica e sociale, dalla mancanza di alloggi, agli episodi di violenza fino alla crisi della sanità e della scuola, vengono imputati al fenomeno migratorio. Il tutto mentre la crisi demografica e le trasformazioni del mondo del lavoro moltiplicano la necessità, e ovviamente la richiesta, di lavoratori stranieri.
Oltre alle esigenze etiche e umanitarie, che restano determinanti per l’accoglienza di minori, donne, persone fragili e profughi in fuga da guerre, crisi climatiche e gravi violazioni dei diritti umani, è giunto il momento di una riflessione complessiva sulle potenzialità e sui limiti del fenomeno migratorio.
Il governo del flusso migratorio non può limitarsi al dualismo tra “accoglienza ad ogni costo” o “ nessuna accoglienza”, tra “frontiere aperte” o “porti chiusi”. Governare il fenomeno significa progettare politiche migratorie che tengano conto dei dati di realtà (calo demografico e scarsità di manodopera) in modo da preparare programmi di integrazione convenienti sia per gli immigrati che per i paesi di accoglienza.
L’estremismo con cui il problema viene affrontato (qualsiasi sia il flusso dei migranti e qualsiasi sia il numero di richieste da parte del mondo del lavoro) rende invece impossibile la soluzione.
Questo radicalismo sta mettendo in pesante difficoltà gli stessi partiti conservatori. In Germania il partito di estrema destra (Afd) ha fatto un balzo in avanti sventolando la bandiera anti immigrati e ha eroso voti alla CDU tedesca, nonostante il suo leader, il conservatore Manfred Weber, abbia dichiarato che per battere gli estremismi l’unico strumento efficace sia la riduzione dell’immigrazione. In Olanda il partito conservatore dell’ex Primo Ministro Rutte è crollato proprio a vantaggio di chi voleva una politica anti migratoria ancora più dura e Macron, con la sua proposta di ridurre le richieste d’asilo e rendere più rapida l’estradizione, ha perso appoggi sia a destra che a sinistra.
Di fronte al fenomeno migratorio, non solo le opinioni più aperte in materia si sono indebolite, ma la stessa destra tradizionale, pur severa contro gli immigrati, sembra essere diventata obsoleta.
In presenza di una situazione nella quale sarebbe interesse comune cercare una politica condivisa, non si mette invece in atto un progetto comune.
Questo nemmeno in vista delle elezioni europee, pur sapendo che le migrazioni saranno al centro della campagna elettorale. In mancanza di una politica condivisa resta quindi spazio solo per proposte nazionali, pur velleitarie e inefficaci, ma sempre più ostili al fenomeno migratorio.
Pensiamo ad esempio alla proposta di trasferire in direzione di altri paesi il flusso dei richiedenti asilo: verso il Rwanda da parte della Gran Bretagna e verso l’Albania da parte dell’Italia. Quest’ultima proposta è per noi di particolare interesse perché gli emigranti vengono utilizzati come merce elettorale da entrambe le sponde dell’Adriatico.
Da parte albanese la proposta di fornire un aiuto al governo italiano sul problema dell’immigrazione costituisce un ovvio motivo di orgoglio nazionale, anche se due anni fa il primo ministro Rama, in occasione di un possibile accordo in materia con la Gran Bretagna, aveva dichiarato che l’Albania non avrebbe mai accettato di ospitare campi profughi nei quali i paesi ricchi scaricano gli emigrati.
Da parte italiana il messaggio è chiaro: i richiedenti asilo verranno estradati subito e le procedure necessarie per decidere sul loro destino verranno espletate fuori dai confini nazionali, trasmettendo quindi agli elettori un inequivocabile segnale di durezza.
A parte i dubbi di legalità nei confronti del rispetto dei diritti umani, è evidente che si tratta di un provvedimento certamente non conveniente per l’Italia.
Costruiremo infatti in Albania (ovviamente a nostre spese) nuove infrastrutture portuali e strutture edilizie per compiere un lavoro burocratico che poteva, e doveva, essere compiuto nel nostro paese.
Senza contare che, essendo tutta italiana la burocrazia incaricata all’esame dei rifugiati, si sta già ponendo il problema del costo delle trasferte dei funzionari stessi. Il significato dell’operazione, assolutamente indegno dal punto di vista morale, è tuttavia certamente efficace dal punto di vista elettorale.
Nessuno di noi pensa che si possano abolire le frontiere o che si debba aprire ad un’emigrazione senza controlli, ma un atteggiamento più equilibrato e dedicato a riflettere su tutti gli aspetti del fenomeno migratorio sarebbe certamente più utile e vantaggioso per tutti.
Continuare con l’estremismo della politica anti immigrazione, unita ad una comunicazione che non fa che alimentare la paura senza una progettazione concreta dei bisogni e delle possibili risorse che l’immigrazione ci offre, rende il problema senza soluzione e impedisce perfino di valutare in modo oggettivo i costi e i benefici che l’immigrazione è in grado di portare alla nostra economia.
Continuando in questa direzione non riusciremo mai a mettere in atto una politica rispettosa dei diritti e dei doveri degli emigranti.