di CARLO CANEPA
La segretaria del PD dice che il governo vuole «oscurare» le ordinanze di custodia cautelare.
Il 6 gennaio, in un’intervista con la Repubblica, la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha accusato il governo Meloni di voler «oscurare» le ordinanze di custodia cautelare con un provvedimento ribattezzato “legge bavaglio” dai suoi critici e da una parte della stampa.
Il giorno dopo, ospite a In Onda su La7, Schlein ha ribadito (min. 02:27) la sua accusa, dicendo che se questa legge «fosse già approvata e in vigore, non avremmo potuto conoscere i contenuti di quelle ordinanze che hanno messo in evidenza le gravi situazioni che riguardano Verdini». Il riferimento è a Tommaso Verdini, figlio dell’ex parlamentare Denis, che a fine dicembre è stato messo agli arresti domiciliari, insieme ad altre persone, accusato di corruzione.
La segretaria del PD dice la verità oppure no? Punto per punto, vediamo che cosa non torna nella sua ricostruzione.
Che cos’è l’ordinanza di custodia cautelare
Prima di addentrarci nei dettagli, è necessario chiarire il significato di alcuni termini ricorrenti nel dibattito politico di questi giorni. Iniziamo dall’ordinanza di custodia cautelare, l’atto citato da Schlein.
Questo è il provvedimento con cui, su richiesta del pubblico ministero (il Pm), il giudice per le indagini preliminari (il Gip) ordina che un indagato venga privato temporaneamente della libertà personale se a suo carico si ritiene ci siano gravi indizi che abbia commesso il reato per cui è accusato, e se c’è il rischio che fugga, inquini le prove o commetta di nuovo reati della stessa specie o altri gravi delitti. La custodia cautelare può essere eseguita in carcere o con gli arresti domiciliari: quest’ultimo è il caso di Tommaso Verdini.
Ricordiamo che le indagini preliminari sono sotto la direzione del pubblico ministero, sono generalmente caratterizzate dalla segretezza e precedono il dibattimento, la fase invece in cui accusa e difesa si confrontano apertamente davanti al giudice. Semplificando, le indagini preliminari possono finire con una richiesta di archiviazione (su cui decide il Gip) o con una richiesta di rinvio a giudizio. Quest’ultima è esaminata dal giudice dell’udienza preliminare (il Gup) che dunque, tra le altre cose, decide se un indagato deve andare o meno a processo.
I limiti nella pubblicazione
Veniamo adesso all’articolo 114 del codice di procedura penale (il codice che regola le procedure del processo penale), dove sono stabiliti i limiti della pubblicazione degli atti processuali. Questi limiti servono a bilanciare la libertà di stampa da un lato e la protezione degli indagati e di chi conduce le indagini dall’altro.
Qui ci interessano due commi in particolare. In base al comma 1 dell’articolo 114, è vietato ai mezzi di informazione pubblicare integralmente o parzialmente gli atti coperti da segreto, di cui non è possibile neppure riassumerne il contenuto. Per esempio questo comma si applica agli atti di indagine del pubblico ministero o della polizia prima che siano comunicati all’indagato.
Spesso il contenuto degli atti coperti da segreto viene comunque reso pubblico, visto che i giornalisti li ottengono da una delle parti coinvolte. In teoria i giornalisti rischiano una sanzione, ma questo succede di rado, visto che di regola prevale il cosiddetto “diritto di cronaca” che, a certe condizioni, opera come causa di giustificazione (articolo 51 del codice penale) ed esclude la punibilità.
Il comma 2 dell’articolo 114 vieta invece la pubblicazione integrale o parziale degli atti non più coperti dal segreto «fino a che non siano concluse le indagini preliminari» oppure «fino al termine dell’udienza preliminare». Fa eccezione l’ordinanza di custodia cautelare, che può essere pubblicata integralmente. Questa eccezione è stata introdotta da un decreto legislativo di fine dicembre 2017 durante il governo Gentiloni, quando il ministro della Giustizia era Andrea Orlando.
Lo stesso decreto ha stabilito che l’ordinanza di custodia cautelare deve contenere solo i «brani essenziali» di eventuali intercettazioni. Come spiega un dossier della Camera, la possibilità di pubblicare integralmente l’ordinanza di custodia cautelare (prima si poteva riassumerne solo il contenuto) è stata inserita accogliendo un’osservazione della Commissione Giustizia della Camera «in vista di un rafforzamento del diritto all’informazione». Questa osservazione poggiava anche sul fatto che il decreto, come visto sopra, permetteva di pubblicare nell’ordinanza solo le intercettazioni ritenute essenziali.
E qui veniamo al dibattito degli scorsi giorni: è sul secondo comma dell’articolo 114, infatti, che vuole intervenire la cosiddetta “legge bagaglio” criticata da Schlein.
Chiariamo subito che l’espressione “legge bavaglio”, circolata molto negli scorsi giorni, non fa riferimento a una legge già in vigore, ma a un emendamento approvato il 20 dicembre dalla Camera per modificare il disegno di legge di delegazione europea 2022-2023. Questo è un disegno di legge delega e quindi contiene una serie di principi, stabiliti dal Parlamento, che il governo dovrà rispettare per recepire alcune direttive dell’Unione europea.
Le direttive europee sono atti giuridici vincolanti che però non hanno immediata applicazione: stabiliscono obiettivi generali che gli Stati membri devono raggiungere entro un certo termine. I modi con cui tali obiettivi vengono raggiunti sono lasciati alla discrezione dei singoli Paesi Ue, che devono approvare autonomamente le norme nazionali necessarie per dare attuazione alla direttiva.
Dopo le modifiche dell’aula, il disegno di legge di delegazione europea è stato approvato dalla Camera e ora dovrà passare l’esame del Senato per diventare legge a tutti gli effetti. L’emendamento in questione porta la prima firma del deputato di Azione Enrico Costa e le firme di altri due deputati all’opposizione, il segretario di +Europa Riccardo Magi e il deputato di Italia Viva Davide Faraone. A questi si sono aggiunte anche le firme di alcuni deputati dei partiti che sostengono il governo.
La modifica approvata dalla Camera dà al governo la delega per modificare l’articolo 114 del codice di procedura penale «prevedendo il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari» oppure «fino al termine dell’udienza preliminare». Questa delega andrà esercitata dal governo entro sei mesi dall’approvazione definitiva della legge.
A dispetto di quanto potrebbe sembrare a prima vista, l’introduzione di un «divieto di pubblicazione integrale o per estratto» di un’ordinanza di custodia cautelare non comporta necessariamente l’«oscuramento» del contenuto delle ordinanze, per usare il linguaggio usato dalla segretaria del PD.
Si potranno pubblicare i riassunti?
Come detto, l’emendamento contiene solo un principio generale a cui il governo dovrà adeguarsi per modificare concretamente il codice di procedura penale. Nulla vieta che la modifica consenta di pubblicare il contenuto delle ordinanze di custodia cautelare attraverso un riassunto o una sintesi giornalistica. Alcuni indizi e commenti dei suoi promotori e dei suoi critici suggeriscono proprio che il provvedimento andrà in questa direzione.
Il deputato di Azione Costa, primo firmatario dell’emendamento, ha infatti dichiarato in un’intervista a la Repubblica che in futuro «si potrà comunque dare la notizia e spiegare il contenuto dell’ordinanza» di custodia cautelare. «Invece sarà vietato pubblicare testualmente l’atto processuale, zeppo di intercettazioni e di informazioni ancora da verificare», ha aggiunto Costa.
Una dichiarazione simile è stata fatta anche dal presidente dall’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia, che ha però criticato l’emendamento approvato alla Camera, definendolo una «norma sbagliata». «Il contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare potrà essere pubblicato, e quindi si affida al giornalista il compito di riassumerne il testo, quando è meglio, per lo stesso indagato, che l’ordinanza sia conoscibile per ciò che è oggettivamente, e non per le mediazioni di riassunto del cronista», ha detto Santalucia a la Repubblica.
Si può poi notare che se avessero voluto escludere la possibilità di pubblicare un riassunto del contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare, i proponenti dell’emendamento avrebbero potuto esplicitare questo obiettivo nel principio generale contenuto nella delega data al governo.
Resta l’incertezza su un punto «molto delicato», come lo ha definito in un’intervista a Il Dubbio Glauco Giostra, professore di Procedura penale all’Università La Sapienza di Roma. Il termine “estratto”, contenuto nell’emendamento approvato dalla Camera, è «semanticamente ambiguo» e «può esprimere due concetti, frazione o sintesi, che nella norma sono già denominati con altre parole: “pubblicazione anche parziale o per riassunto dell’atto”», ha dichiarato Giostra.
Di parere simile è il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, in passato presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione. «Va detto con chiarezza che stiamo parlando di una legge che non c’è ancora. Se è quella di prevedere il divieto di pubblicazione integrale, ma delle ordinanze si può scrivere, come già prima della riforma Orlando, non ho dubbi che sarà possibile continuare a rilasciarle, sia pure con le dovute cautele, come quelle a tutela delle parti offese», ha dichiarato a il Fatto Quotidiano Cantone, che è comunque critico verso l’emendamento, definito inutile e inopportuno.
Per avere più certezze bisognerà dunque aspettare l’approvazione del disegno di legge delega del Senato (se ci saranno modifiche, il testo dovrà tornare alla Camera) e poi il decreto legislativo del governo che modificherà in concreto l’articolo 114 del codice di procedura penale.
Se sarà consentito pubblicare un riassunto dell’ordinanza di custodia cautelare, i contenuti di questi atti potranno essere divulgati sui mezzi di informazione. In ogni caso, se fosse in vigore una legge di questo tipo, non è vero che non si potrebbero conoscere i contenuti delle ordinanze di custodia cautelare, tra cui quelle che hanno riguardato il caso Verdini.