di Mario Lavia
Indecisa a tutto
Il piglio giovanile di Elly Schlein non si vede, il Pd è fermo, la truppa sbanda e tutti, compresi i possibili alleati, litigano. Una bella prospettiva in vista delle Europee
Mentre Gennaro Sangiuliano arraffa il microfono al giornalista e fa lui la domanda invece di rispondere, sublime immagine del rovesciamento della realtà che la destra vannaccista sta imponendo, dall’altra parte del campo più o meno largo il nulla avanza imperterrito. Più si annunciano barricate e meno se ne fanno: non c’è proprio il materiale per erigerle, le barricate. La truppa sbanda nervosa. I comandanti litigano e pasticciano peggio che a Waterloo.
Prendiamo il romanzo della candidatura di Elly Schlein: secondo alcuni non sarebbe vicino all’epilogo. Lei potrebbe sciogliere la riserva più in là. Speriamo per il suo partito che non sia vero e che si renda conto che più passa il tempo più la cosa diventa paradossale.
La vicenda, in sé piccina, è emblematica di molte cose. La prima è che questa è la metafora di una politica che si ingegna a trovare le soluzioni più convenienti per i singoli attori ma molto lontano dalle discussioni “alte” – cosette tipo il futuro dell’Europa – nonché dal comune sentire dei cittadini, anche degli elettori, in questo caso del Partito democratico.
Il partito è fermo in attesa di capire come saranno le liste e dunque che tipo di campagna elettorale fare. La cosa singolare e mai vista prima è che questo ritardo è esclusivamente imputabile alla leader del partito, che continua a ripetere che mancano ancora dei mesi non rendendosi conto che le “macchine” organizzative sul territorio si devono già mettere in moto.
E appunto la seconda metafora è quella di una segretaria giovane e dal piglio “americano”, circondata dal suo gruppo dirigente altrettanto giovane e voglioso di fare, che si sta dimostrando indecisa a tutto. Così che si vivacchia alla giornata e si perde tempo in seminari poco utili.
Schlein dovrebbe imparare da Achille Occhetto, che decise di cambiare il nome del Pci in tre giorni (poi ci vollero due congressi, ma questa è un’altra storia). Invece qui si sta facendo un dramma di una questione tutto sommato secondaria. A meno che, come sanno tutti, dietro la querelle della candidatura della segretaria non ci sia la solita sindrome del Partito democratico imbevuta di ambiguità e secondi fini.
In effetti ogni giorno c’è qualche dirigente del Partito democratico che si alza per dirle di non candidarsi, il giorno dopo c’è un altro che le suggerisce il contrario, e allora bisogna studiare a quale corrente appartiene il primo e a quale il secondo e scandagliare nei loro retropensieri per capire se con quel consiglio la si vuole mettere in difficoltà oppure preservarla da un rischio fatale.
Questa situazione sospesa la dice lunga sul luccicare dei coltelli nei corridoi del Nazareno: sta a Elly Schlein rompere questo assedio psico-politico. Sapendo che qualunque cosa decida verrà criticata. Appare il suo destino non aver pacificato il Partito democratico. Anche dalle parti dell’ex Terzo Polo e dei radicali ci si muove per allusioni, tattiche, veti più o meno mascherati. E non si decide niente.
Dall’altro lato, nella destra, si scannano sulle regionali ma almeno è un “dibattito” di cui si capisce: la posta da dividere è il potere, cioè il peso di ciascuna componente della destra. Nel cosiddetto “campo largo” invece non si capisce nemmeno più cosa sia in gioco, a parte la sopravvivenza politica di questo o quel leader (perché è tutto parossisticamente personalizzato ormai).
E il tempo passa, per lo più a insultarsi o se va bene ignorarsi, mentre Sangiuliano si prende il microfono, metafora di una destra che si è presa l’Italia.