Carenza di personale, organizzazione inefficiente, lunghe attese e sovraffollamento di pazienti.
È la situazione nei pronto soccorso italiani in queste ultime settimane: “imballati”, “sotto assedio”, “in tilt”, come scrivono i media, a causa dell’aumento di patologie respiratorie dovute al Covid, all’influenza e ad altri virus in circolazione.
“Stiamo registrando una fortissima pressione su tutti i pronto soccorso e in varie regioni sono stati attivati i piani contro il sovraffollamento da parte di ospedali e aziende sanitarie”, ha spiegato Fabio De Iaco, presidente della Società italiana medici di emergenza urgenza (Simeu). “I piani sono mirati al reperimento di ulteriori posti letto ma, dal momento che i posti letto ospedalieri sono cronicamente insufficienti, in pratica non si può fare altro che sottrarre letti ad altre specialità come ad esempio la chirurgia”.
I problemi si registrano un po’ dappertutto: a inizio gennaio i pazienti in attesa di ricovero nei pronto soccorso erano circa 500 in Piemonte e oltre 1.100 solo nel Lazio, dove la situazione si è aggravata dopo l’incendio dell’ospedale di Tivoli dell’8 dicembre – ospedale che ospitava l’unico Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) di primo livello dell’Asl Roma 5, che ha lasciato 450mila cittadini di 76 Comuni senza un punto di riferimento per le urgenze.
In Lombardia a fine dicembre c’erano 300 pazienti bloccati in barella nei 99 pronto soccorso della regione, tanto che sono stati rimandati tutti i ricoveri programmati nei reparti di riabilitazione, per liberare posti letto. A Napoli, l’ospedale Cardarelli solo il primo gennaio ha registrato 209 accessi al pronto soccorso.
“Non abbiamo previsto ferie nel periodo natalizio”, racconta De Iaco, che è primario del pronto soccorso all’ospedale Maria Vittoria di Torino. “I medici non bastano e non c’era possibilità di mandarli in ferie. In alcuni casi si è potuto garantire il riposo almeno per una delle festività, ma nella grande maggioranza i medici a Torino hanno lavorato senza interruzioni in tutto questo periodo. Le ferie, se qualche azienda ospedaliera è riuscita a prevederle, rappresentano ormai un lusso”.
La pressione sui pronto soccorso si ripete ogni inverno: la politica fa promesse ma puntualmente l’anno successivo il problema si ripropone. “Se le situazioni sono definite prevedibili, significa che non sono un’emergenza: l’emergenza è qualcosa che ti arriva tra capo e collo, e che devi gestire, mentre ogni anno si ripete il solito film”, ha commentato il presidente dell’Ordine dei medici del Piemonte, Guido Giustetto.
L’ultima legge di bilancio ha stabilito che il Fondo sanitario nel 2024 sarà di 134,1 miliardi, che saliranno a 135,39 miliardi nel 2025 e a 136 miliardi nel 2026. Più soldi per la sanità, dunque? Secondo l’analisi della Fondazione Gimbe, considerando che gran parte dei finanziamenti saranno destinati al rinnovo contrattuale del personale sanitario, rimangono fondi talmente esigui da non riuscire nemmeno a compensare l’inflazione.
E anche il rinnovo contrattuale è “una misura necessaria, ma non sufficiente, per risolvere la grave carenza di personale sanitario, in particolare di infermieri e di varie specialità mediche”, ha spiegato il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta.
Tra queste specialità c’è proprio l’emergenza urgenza, che riguarda proprio i pronto soccorso: “Il capitale umano che crede nel Servizio sanitario nazionale oggi è costretto ad alzare la voce con ripetuti scioperi, per chiedere disperatamente di rilanciare le politiche del personale sanitario”, continua Cartabellotta.
“Anche perché si sta facendo largo la scarsa attitudine dei giovani a intraprendere professioni, come l’infermiere, e specialità, come il medico d’urgenza, poco attrattive, che a fronte di una bassa remunerazione presentano limitate prospettive di carriera, condizioni di lavoro inaccettabili, o addirittura rischio di aggressioni”.
Il 5 dicembre, dopo che il governo aveva annunciato un taglio delle pensioni dei medici – c’è poi stato un parziale dietrofront – si è tenuto uno sciopero nazionale di 24 ore organizzato dai sindacati dei medici Anaao-Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up: l’adesione è stata dell’85%. A rischio c’erano 1,5 milioni di prestazioni, 30mila interventi chirurgici, 180mila visite specialistiche.
“Ci dispiace per i cittadini che avevano prenotato visite e accertamenti, o che erano in attesa di un ricovero già programmato, ma forse sarà un bene che anche loro tocchino con mano cosa vorrebbe dire vivere senza più un servizio sanitario pubblico”, ha dichiarato il segretario nazionale dell’Anaao-Assomed Pierino Di Silverio.
Il problema cronico della mancanza di personale
Tra i problemi più urgenti dei pronto soccorso c’è la mancanza di personale: attualmente a livello nazionale mancano circa 4.500 medici e 10mila infermieri. Quelli che restano lavorano su turni massacranti, con grandi responsabilità, in cambio di bassi compensi: ecco perché sempre meno specializzandi scelgono questo settore.
L’emergenza-urgenza è sempre meno attrattiva per i futuri medici, per gli alti livelli di stress e usura: nel 2023 sono rimaste non assegnate ben il 76% delle borse di specializzazione a disposizione. Che significa che tre posti su quattro sono rimasti vuoti. La mancanza di medici genera condizioni di lavoro ancora peggiori: con poco personale, il sovraccarico di lavoro diventa ancora più difficile da gestire.
Lo scorso novembre la Conferenza delle Regioni è intervenuta in audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera, che sta svolgendo un’indagine conoscitiva sulla situazione della medicina di emergenza-urgenza e dei pronto soccorso: “La perdita quotidiana di personale dai pronto soccorso continua giorno dopo giorno”, si legge nel documento, il che implica “il ricorso alle esternalizzazioni che comportano un aggravio di bilancio sulle aziende e una netta riduzione della qualità di assistenza per i pazienti”.
Tutto ciò “ha un forte impatto negativo anche sul clima lavorativo, laddove vanno a coesistere professionisti pagati in maniera decisamente diversa (dipendenti versus cooperative/gettonisti)”.
Sì, perché per compensare alla mancanza di personale sempre più spesso le aziende sanitarie si affidano ai medici a gettone. Si tratta di un nuovo metodo di reclutamento che consiste nell’ingaggiare medici liberi professionisti a chiamata tramite società private o cooperative, per coprire turni e servizi scoperti. Il fenomeno era iniziato già qualche anno prima della pandemia, ma con l’emergenza sanitaria è diventato sempre più strutturale.
La Simeu ha fatto un’indagine da cui risulta che quella dei medici a gettone è una prassi che si è radicata in quasi tutto il territorio italiano: in Veneto vi fa ricorso il 70% degli ospedali, il 60% in Liguria, il 50% in Piemonte. In Friuli Venezia Giulia e nelle Marche tutte le strutture sanitarie hanno ricorso ai medici a gettone.
“Siamo molto preoccupati: stiamo assistendo a un drammatico smantellamento del sistema sanitario pubblico”, ha dichiarato a Valigia Blu Vittorio Dalmastri, responsabile della Cgil medici dell’Emilia-Romagna. “Anche il PNRR, che prevede grandi risorse per finanziare strutture e tecnologie, non stanzia finanziamenti per il personale. Questo è un punto fondamentale: se non si migliorano le condizioni di lavoro degli strutturati, ci sarà sempre un vuoto da colmare.
Nonostante il Covid ci abbia insegnato quanto sia importante la sanità pubblica, in particolare in un momento di emergenza, ancora non abbiamo imparato a tutelarla”. Per questo, lo scorso 11 gennaio, la consigliera regionale del Lazio, Eleonora Mattia, ha presentato una mozione per chiedere al governatore Francesco Rocca di vietare il ricorso ai cosiddetti gettonisti.
Lavorando in prima linea, i medici e gli infermieri del pronto soccorso e del 118 si espongono anche al rischio di aggressioni: la Simeu afferma che il 100% di loro ha subito almeno una volta violenza fisica o verbale. Si tratta esperienze “altamente traumatizzanti, non solo a livello fisico, che a volte possono generare veri disturbi post-traumatici da stress, e portano alla propensione marcata a cambiare sede di lavoro e tipo di lavoro”, spiega il primario del pronto soccorso dell’ospedale San Paolo di Bari, Guido Quaranta. “Il fenomeno resta tendenzialmente sottostimato, poiché gli operatori sanitari sono poco propensi a denunciare gli episodi, anche se attualmente c’è più consapevolezza”.
La legge in vigore, che prevede multe e il carcere fino a cinque anni per chi aggredisce il personale sanitario in pronto soccorso, è “al momento non applicata anche a causa della mancanza di forze di polizia” nelle strutture, scrive la Conferenza delle Regioni, che chiede una maggiore presenza del personale di polizia, oltre a corsi per il personale medico su come comportarsi in determinate situazioni e misure di sicurezza di base, come strutture protettive all’ingresso dei pronto soccorso, sistemi di videosorveglianza.
Le ripercussioni sui pazienti
La crisi dei pronto soccorsi danneggia non solo il personale medico e sanitario, ma anche i pazienti che avrebbero bisogno di cure. Si sta assistendo contemporaneamente a due fenomeni: c’è l’overcrowding, il sovraffollamento, e il boarding, la presenza di pazienti che, in attesa di un ricovero in un altro reparto, aspettano per ore nella zona di passaggio tra l’emergenza e la degenza.
Al pronto soccorso di Legnano un uomo con disabilità ha atteso nove ore prima di essere visitato. “Sono andata in bagno e al ritorno il mio letto era sparito. Avevo a disposizione soltanto una sedia a rotelle, per 15 ore”, ha raccontato una donna di 45 anni che a fine dicembre, dopo un malore, è stata portata al pronto soccorso del Santo Spirito di Roma.
Qualche giorno prima un’altra donna di 64 anni, dopo essere stata investita da un’auto, racconta di “una vera e propria odissea” al pronto soccorso dell’ospedale Santa Croce di Fano: l’attesa è durata ben sette ore, prima di essere visitata da un medico. “Mi hanno detto che mi era stato assegnato il codice giallo e dunque mi aspettavo di essere visitata presto, anche perché accusavo dolori dappertutto e soprattutto alla testa. Invece passavano le ore ed io ero bloccata sulla barella”.
Alla donna è stato vietato di alzarsi perché c’era la possibilità che avesse lesioni al bacino. “Ho chiesto una padella urinaria, ma ho atteso invano un’altra ora e alla fine non ce l’ho fatta e me la sono fatta addosso. È stata una umiliazione che non potrò dimenticare. Alla fine ho chiamato la polizia”.
“L’overcrowding è dovuto al numero di pazienti che restano in attesa di un ricovero”, ha spiegato Francesco Franceschi, direttore del pronto soccorso del Policlinico Gemelli di Roma, in audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera. Non ci sono letti negli altri reparti per i ricoveri, e allora le persone sono costrette ad aspettare nel pronto soccorso, che così si intasa.
Per sbloccare la situazione, la Conferenza delle Regioni ha presentato al Parlamento un documento di proposte concrete. Tra le richieste, c’è l’aumento dello stipendio di base per i professionisti sanitari, il pagamento delle ore di straordinario, il riconoscimento delle indennità e dei benefici dei lavori usuranti, la depenalizzazione della colpa medica e l’aumento delle misure di welfare.
E per i pazienti si propone la messa a disposizione di un’app che mostri il grado di affollamento del pronto soccorso, per permettere di decidere – quando è possibile – quando è meglio andarci, oltre che il costante monitoraggio dei tempi di ammissione al pronto soccorso, di consulenza e di esecuzione degli esami diagnostici.
“Per un appassionato di medicina, quello del pronto soccorso è il lavoro più bello del mondo”, conclude Franceschi. “Se noi come paese investiamo nel setting dell’emergenza-urgenza, in futuro avremo una situazione migliore dell’attuale”.