Nei prossimi anni, la dipendenza energetica dell’Italia nei confronti dei Paesi africani è destinata a crescere.
E non è una buona notizia
Capi di Stato, capi di governo, ministri degli Esteri, vertici europei, rappresentanti delle principali organizzazioni internazionali. Ha voluto organizzare le cose in grande Giorgia Meloni in occasione del summit Italia-Africa in programma oggi e domani a Roma. Un vertice di due giorni in cui la premier potrà rilanciare uno dei suoi cavalli di battaglia: il «Piano Mattei».
Si tratta, in poche parole, della strategia attraverso cui il governo italiano punta a stringere nuovi partenariati con i Paesi africani abbandonando una volta per tutte le logiche «caritatevoli, paternalistiche o assistenzialistiche». Una componente fondamentale del piano riguarda la lotta alle cause profonde dell’immigrazione, ma è l’energia il tema su cui più di ogni altro l’Italia ha intenzione di fare la parte del leone.
Dallo scoppio della guerra in Ucraina, l’Italia si è trovata costretta a ridurre la propria dipendenza dalla Russia e cercare gas altrove. Questo «altrove» ha finito per coincidere con un ristretto gruppo di Stati africani, che nel giro di pochi mesi ha sostituito buona parte delle importazioni provenienti da Mosca.
Dalla Russia all’Algeria
All’indomani della decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina, l’Italia si è resa conto di quanto fosse rischioso essere così dipendente da un solo Paese. Nel 2021, la Russia forniva il 38,2% del gas consumato dagli italiani. Una percentuale troppo alta, che ha costretto il governo Draghi a rivedere la strategia energetica nazionale e cercare nuovi fornitori.
Eppure, per certi versi oggi la situazione non è molto diversa da quella di tre anni fa. Da gennaio a metà novembre 2023, l’Italia ha ricavato il 37,9% del gas dall’Algeria, un Paese per giunta più instabile della Russia.
A collegare lo Stato nordafricano alle coste italiane è il gasdotto Transmed, che arriva fino a Mazara del Vallo, in Sicilia. Un altro 4,1% dei consumi italiani di gas è coperto invece dalla Libia, che trasporta il suo gas con il Greenstream. Sommando le quote dei due Paesi, e senza calcolare il Gnl (gas naturale liquefatto), la percentuale di gas che l’Italia importa dal continente africano sale al 42% del totale.
In Africa, a tutto gas
Nei prossimi anni, la dipendenza energetica dell’Italia nei confronti dei Paesi africani è destinata a crescere. A gennaio dello scorso anno, Giorgia Meloni è volata in Libia insieme all’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, per un accordo sull’apertura di nuovi giacimenti offshore di gas naturale.
Un investimento complessivo da 8 miliardi di dollari, con avvio della produzione previsto per il 2026 e l’obiettivo di arrivare a 750 milioni di piedi cubi di gas al giorno. Lo scorso ottobre, la premier ha visitato altri due Paesi africani che diventeranno partner energetici sempre più stretti dell’Italia.
Il primo è il Mozambico, uno di quegli Stati africani che più soffrono la «maledizione delle risorse», quel fenomeno per cui la scoperta di risorse naturali, anziché generare ricchezza e sviluppo, porta a un aumento della corruzione e dell’instabilità. Il secondo è il Congo, che vede in Eni il maggior produttore di gas nel Paese e che ha annunciato di voler ampliare gli investimenti nel settore del Gnl.
Il ruolo dell’Eni
Nelle intenzioni di Giorgia Meloni, tutti questi progetti prevedono un approccio paritario e non predatorio tra i diversi attori coinvolti. L’ambizione della premier, come lei stessa ha ribadito in più di un’occasione, è di rendere l’Italia un «hub energetico» per l’intera Europa. Una delle strategie attraverso cui il governo punta a raggiungere questo obiettivo è il cosiddetto «Piano Mattei», che prende il nome da Enrico Mattei, l’imprenditore che nel 1953 fondò l’Eni e la trasformò in uno dei protagonisti del miracolo economico italiano.
La scelta del nome non è affatto casuale. In buona parte dei viaggi in Africa menzionati fin qui, Meloni è stata accompagnata proprio dal massimo dirigente di Eni, l’amministratore delegato Claudio Descalzi. Ed è proprio il legame tra la strategia del governo e il colosso petrolifero italiano a far storcere il naso ad alcuni osservatori.
Tutti i dubbi sul Piano Mattei
A sottolineare rischi e mancate opportunità del Piano Mattei è il think tank italiano Ecco. Secondo gli autori del report, la strategia italiana in Africa dovrebbe «superare narrative energetiche legate a tradizionali concetti sulla sicurezza energetica e sul ruolo degli idrocarburi». Allo stato attuale, infatti, la quasi totalità delle nuove collaborazioni firmate tra Italia e Paesi africani riguarda la produzione di gas o altri combustibili fossili.
E questo, sottolinea il report di Ecco, non solo è in contraddizione con gli obiettivi climatici sulla riduzione delle emissioni, ma «rappresenta anche un grande rischio economico e finanziario». Per inaugurare davvero una nuova stagione di sviluppo e cooperazione tra Italia e Africa, gli esperti suggeriscono al governo italiano di abbandonare i progetti fossili per concentrarsi su altri due settori: rinnovabili e materie prime critiche.
«Finora – si legge nel report – le energie rinnovabili hanno ricevuto solo una frazione dell’attenzione e dei finanziamenti dei progetti sul gas. Il potenziale rinnovabile dell’Africa, in particolare Subsahariana, potrebbe essere espresso reindirizzando in maniera adeguata i flussi di investimento attuali». Stando ai dati dell’Agenzia internazionale dell’energia, l’Africa dispone di circa il 60% di tutte le aree idonee a livello mondiale per la produzione di elettricità da fotovoltaico.
Mentre sul fronte delle materie prime critiche, il continente può contare sul 40% delle riserve globali di cobalto, manganese e altri metalli fondamentali per batterie elettriche e tecnologie legate all’idrogeno. Investire in questi settori, sottolinea il report di Ecco, avrebbe ricadute positive sia per l’Italia che per i Paesi africani, soprattutto in termini di occupazione, sviluppo economico e riduzione della povertà energetica.
L’appello delle ong africane
In vista del summit Italia-Africa che si apre oggi a Roma, anche la società civile africana ha voluto far sentire la propria voce. In una lettera indirizzata nei giorni scorsi a Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Sergio Mattarella, un gruppo di circa 40 ong ha presentato una serie di richieste da sottoporre ai leader italiani e africani presenti al vertice: «porre fine agli approcci neocoloniali dei Paesi europei», garantire l’inclusione «della società civile africana» nei processi decisionali, ma anche «adottare un approccio integrato» che tenga conto sia delle questioni energetiche che di quelle climatiche.
Ed è proprio dagli investimenti nel fossile che mette in guardia Dean Bhekumuzi Bhebhe, responsabile delle campagne di Don’t Gas Africa: «Il Piano Mattei è un simbolo delle ambizioni italiane in materia di combustibili fossili, un piano pericoloso e un’ambizione miope che minaccia di trasformare l’Africa in un mero condotto energetico per l’Europa».
(EPA/Daniel Irungu | Uno sciopero per il clima davanti agli uffici del ministero dell’Ambiente a Nairobi, in Kenya – 20 settembre 2019)