Rispetto delle regole, tutela dell’interesse pubblico, senso di responsabilità: è l’eredità morale dell’avvocato milanese, ucciso 40 anni fa, rinverdita da un’Italia spesso nascosta, che si assume la fatica della legalità
Erano anni di finanze spericolate e patti inconfessabili. Erano anni di contagiose speranze e ferventi ideali. Erano gli anni della violenza più cieca, ma anche della fiducia più forte. Erano anni – quelli in cui visse e morì Giorgio Ambrosoli – mai del tutto svaniti dalle fondamenta del Paese. Anche se all’apparenza ora tutto sembra diverso. A cominciare dalle strade della sua Milano.
Oggi, come quarant’anni fa, le cronache continuano a raccontare di consorterie mafiose e di blocchi di potere, a protezione degli interessi di singoli; oggi, come in quell’estate del 1979, quando veniva ucciso l’avvocato milanese (nominato dalla Banca d’Italia unico commissario liquidatore della Banca Privata Italiana), a fine giornata ci sono ancora tanti avvocati, imprenditori, professori, magistrati o scienziati, che possono sedere al tavolo di un ristorante (come Ambrosoli in quella sera dell’11 luglio di un’altra epoca) con la serenità di aver rispettato le regole … leggi tutto