di Guia Soncini
I non binari
Manuale per sopravvivere alla galera sotterranea peggio progettata del mondo, con consigli imperdibili sul prendere i treni adriatici anziché quelli per Roma e altre storie di vita vissuta
È il settembre del 2022. Sono a Bologna e devo andare a Brescia, con un Frecciarossa. Sono quindi al binario 18, uno dei quattro nella stazione sotterranea dell’alta velocità, un incubo per il quale l’aggettivo «kafkiano» non basta.
Ci sono arrivata con calma, sono lì che aspetto ma il treno non arriva. Tarda cinque minuti, poi dieci, poi quindici, poi dagli altoparlanti esce una voce che dice una cosa per la quale prima dei binari kafkiani al massimo si sbuffava e ora si bestemmiano gli dèi di tutte le religioni: il treno atteso al binario 18 è in arrivo al binario 1.
Se siete mai passati da quei sotterranei a questo punto starete tremando per il nervoso, se non ci siete mai passati è difficile spiegare, è difficile capire: non significa solo che devi cambiare binario, significa che devi cambiare codice postale.
Quella scena di un anno e mezzo fa ancora me la ricordo, perché improvvisamente mi resi conto che più che il treno per Brescia pareva quello per Lourdes. C’era uno col bastone, una con il passeggino, persino qualcuno col cane (unico del quale ho pensato: così impara).
Nessuno, tranne me, sapeva dove andare, ma io per fortuna non ho doti di leadership e quindi non mi sono offerta di guidarli. Anche perché io stessa, che da quei sotterranei sono passata decine se non centinaia di volte, quando arrivo alla terra di mezzo esito sempre.
La terra di mezzo è il piano tra la stazione sotterranea e quella vera, dove dovrebbero esserci i taxi (figuriamoci) e dovrebbe lasciarti chi ti dà un passaggio (e infatti il piano si chiama «kiss and ride», e se non è metafora perfettissima dell’imbecillità di questo secolo questa dicitura, non so proprio cosa).
Quando la scala mobile da sotto ti sputa nella terra di mezzo, cosa devi fare per arrivare alle altre scale, quelle che ti portano su? Attraversare? Tornare indietro? Dipende dalla scala che hai preso prima, mica ce n’è una sola. Insomma, se come me non hai il senso dell’orientamento è un problema. Se sei una col passeggino che passa dai sotterranei bolognesi ogni dieci anni, auguri.
Naturalmente tutti sanno che quello da sotto a su è un viaggio, e infatti quel treno per Brescia era lì fermo ad aspettarci, sapeva che come minimo ci avremmo messo dieci minuti, ma io mica sapevo se mi avrebbe aspettata, e quindi ho corso, sono arrivata quasi infartuata e urlando «io vi denuncio» come una pazza furiosa.
Lo steward di Trenitalia si è giocato la massima carta-cavalletta – a Firenze, mi ha spiegato, era morto un passeggero – e io sono crollata su una poltrona sulla quale sono rimasta inerte mentre il treno, fermo, aspettava l’arrivo di passeggini, invalidi, cani. Non è stato allora che mi sono chiesta per la prima volta «ma quindi i Frecciarossa possono arrivare anche su, ma quindi perché ci infelicitano facendoci andare giù», era un dettaglio che avevo già notato e approfondito, e l’esito degli studi fa di me la più preziosa amica che possa avere chi deve andare da Milano a Bologna.
La frase più utile contenuta nel mio armamentario dialettico è: «Prendi quello per Pescara». È la frase con cui, se non sono diffidenti, riesco a sedare le paure e le ipocondrie che accomunano tutti quelli che devono andare da Milano a Bologna. I diffidenti e i saperlalunghisti non mi credono, pensano che io faccia parte del grande complotto della stazione bolognese per stressarli.
È la messa in discussione del principio di autorità che rovina questo secolo, e ciò che è valso in tempi di pandemia vale anche per le stazioni sotterranee: ho un dottorato in prendere i treni a Bologna, vuoi davvero metterti a discutere? Quel che coloro che hanno studiato la pratica meno di me non sanno è che ad arrivare sotto (e a partire da sotto) sono solo i treni che fanno la linea Milano-Roma. Quelli che da Bologna in giù fanno l’Adriatico, quelli arrivano a (e ripartono da) i binari normali. Non è solo una questione di non dover sprecare dieci minuti in più per raggiungere il binario o tentare di riemergerne.
La stazione sotterranea, essendo sotterranea, è sempre buia. Se arrivi, rischi di non accorgerti della fermata perché fuori c’è un buio indistinto, e a Bologna, stazione di transito, il treno si ferma solo tre minuti. Ho visto gente (e con gente intendo: io) rischiare di restare a bordo perché non aveva capito che era arrivata.
E, se anche non resti sul treno, scendi senza sapere che tempo faccia, se sia giorno o notte, con una sottile claustrofobia data dal non vedere il cielo: la stazione sotterranea è una galera. Ogni volta che arrivo a Bologna sul mio bravo Frecciarossa per l’Adriatico, fotografo il binario con sopra il cielo azzurro (se c’è una prova del cambiamento climatico, è che il cielo di Bologna è ormai indistinguibile da quello di Napoli).
Saperlalunghisti e diffidenti mi accusano di aver falsificato le prove, di essere andata a fare una foto su un binario a caso pur di convincerli della magia per la quale i miei treni non arrivano ai binari kafkiani. Gli altri, più razionali, prenotano il loro bravo treno scegliendo tra quelli che vanno a Pescara, a Lecce, ovunque ma non a Roma.
Non è un metodo perfetto – non posso salvarli tutti: chi viene da Roma è perduto – e infatti ogni giorno ho notizia di nuove vittime della stazione peggio progettata del mondo (assieme a quella di Pescara: l’anno scorso ho presentato un libro a un festival locale, e metà presentazione è stata utilizzata per chiedere al pubblico i trucchi per uscire dalla loro cazzo di stazione, visto che io ci avevo messo mezz’ora e mi sembrava concepita in modo persino più imbecille di quella di Bologna, che era tutto dire).
(Ma forse Bologna batte tutti perché la sala d’attesa Frecciarossa – in neolingua: lounge – è al binario 1. Tu stai comoda nella sala d’attesa, ma ti devi ricordare di uscirne in tempo per arrivare nei sotterranei dove non c’è neanche una panchina per sederti, quindi esci dieci minuti prima per essere sicura d’arrivare in tempo anche se inciampi, ma non venti minuti prima sennò poi ne passi almeno dieci in piedi. Ogni tanto chiedo, e mi dicono: eh, stanno pensando di spostarla. Pensateci un altro po’, amici di Trenitalia).
L’altra mattina un’amica che tornava a Milano da Bologna mi ha scritto furibonda. Il suo Frecciarossa (che veniva da Roma, perché a quell’ora non c’era nessuna linea adriatica che le potesse tornare utile) doveva essere al binario 18, ma era stato spostato al 17. Se, di nuovo, siete vergini di quell’inferno, sappiate che da una parte ci sono il 16 e il 17, e dall’altra il 18 e il 19. Hanno scale mobili separate, tu forestiera sai quale hai preso per scendere, ma se ti cambiano binario e devi frettolosamente risalire e non sei pratica: beh, auguri.
Quindi il primo messaggio d’ira funesta mi riferisce che ha preso il treno al volo, le stavano chiudendo le porte in faccia, perché non sapeva come andare dal 18 al 17, per la disperazione voleva attraversare i binari correndo, maledetti i ferrovieri tutti e i bolognesi tuttissimi.
L’ho consolata, e dopo un’ora mi si è nuovamente illuminato il telefono. Il treno era stato cambiato di binario di nuovo, ma lei non se n’era accorta, era salita sul Frecciarossa arrivato al 17 e si era seduta al suo posto senza controllare il numero del treno (parlo da uomo ferito: quando ti succede una volta di prendere il treno sbagliato, da lì in poi controlli ossessivamente i numeri dei treni; prima, no).
La mia amica ora assai più furibonda di prima si era ritrovata alla stazione di Verona (e aveva rischiato l’arresto per i modi assai urbani con cui aveva notificato il proprio disappunto al controllore). Non le ho detto che se avesse preso un Frecciarossa che venisse da Lecce sarebbe partita con la luce del giorno e tutto questo non sarebbe successo, perché avevo paura che mi urlasse «vi denuncio» con l’isteria che avevo io su quel treno per Brescia. Ogni isteria da alta velocità bolognese è isterica a modo suo, ma gli esaurimenti nervosi da stazione sotterranea si somigliano tutti.