di Federica Olivo / Alfonso Raimo
Dietro l'affinità di Salvini con Putin, c'è una precisa filiera all'interno del Carroccio.
All’inizio di tutto c’è Vladimir Zirinovskij, l’ex colonnello sovietico poi leader del partito liberal democratico russo, che liberale e democratico non lo era affatto, ma piuttosto nazionalista e populista, e alleato di Putin. Umberto Bossi andò a incontrarlo a Mosca alla fine degli anni Novanta per ringraziarlo di aver riconosciuto l’indipendenza della Padania proclamata dal senatur.
Ma ci vollero anni perché la passione russa dei leghisti si riaccendesse, e avvenne grazie a un passaggio decisivo nel partito, sempre meno federalista-bossiano, sempre più Lega nazionale di “Salvini premier”. Non a caso il gruppo che realizzò la liason non fu quello vicina a Bossi cresciuto nel mito del leghismo nordista, ma quello più praticone del varesotto.
In prima linea Gianluca Savoini, presidente dell’associazione culturale Lombardia Russia. Per un breve periodo, nel lontano 2014, portavoce di Matteo Salvini, è noto alle cronache come l’uomo del Metropol (la vicenda giudiziaria non ha avuto esito, ma qui parliamo di rapporti con Mosca, noti e non smentibili).
Savoini era in Russia, infatti, nel 2018, quando Matteo Salvini – da ministro dell’Interno – partecipò a un incontro con la Confindustria locale. “In Russia mi sento a casa, in alcuni Paesi Ue no”, disse l’allora (e ora) vicepremier. Una frase, direbbero i giovani, invecchiata male.
Travolto dallo scandalo, nel 2019 Salvini stava quasi per disconoscere il suo quasi omonimo. Eppure, Savoini in via Bellerio si è sempre occupato di coltivare le relazioni con l’Est ex sovietico. Lo raccontò lui stesso ad Huffpost, nel 2014: “Dopo l’incontro con Zirinovskij Bossi tuttavia si concentrò su altre questioni e per qualche anno non si parlò più della Russia in seno al partito. Io però ho mantenuto i miei contatti con Mosca e quando Matteo è stato eletto sapevo grazie alle mie fonti che stava per scoppiare la questione Ucraina e che questa avrebbe portato al tentativo di dividere Mosca dall’Europa, così ho chiesto al neo-segretario se era interessato a riallacciare i rapporti con il Paese dell’Est”.
Quando Salvini viene incoronato segretario al congresso di Torino, nel dicembre 2013, Savoini gli porta un esponente di spicco del partito Russia Unita, Viktor Zubarev. A ottobre 2014 il primo incontro tra Salvini e Putin.
L’Associazione Lombardia-Russia è il cuore del leghismo putiniano. Aveva sede a via Colombi 18, vale a dire il secondo ingresso della sede della Lega in via Bellerio. Nelle intenzioni doveva essere ”un’associazione culturale apartitica”, ma in realtà nasceva dal gruppo leghista di Varese. Gianluca Savoini presidente, l’ex direttore di Telepadania Max Ferrari, segretario generale.
Come vicepresidente Gianmatteo Ferrari, esperto informatico, e Luca Bertoni tesoriere. Tutti varesini, tutti iscritti al partito, con Ferrari che diventerà curatore delle relazioni estere per il presidente della Lombardia Attilio Fontana. “Lombardia-Russia nasce con idee molto precise che combaciano pienamente con la visione del mondo enunciata dal Presidente della Federazione Russa nel corso del meeting di Valdai 2013 e che si possono riassumere in tre parole: Identità, Sovranità, Tradizione”, scrivono nella nota che presenta l’associazione. È l’epoca della prima crisi ucraina.
“La vicenda dell’Ucraina e del referendum in Crimea, trasformato dalla propaganda occidentale in una “farsa illegittima”, mentre si tratta di una chiara manifestazione di autodeterminazione dei popoli”. Il presidente onorario è Alexey Komov, il rappresentante del Congresso Mondiale delle Famiglie in Russia. Il teorico della denazificazione dell’Ucraina (secondo Putin, beninteso).
Quando il 25 novembre del 2015, dopo un intervento di Sergio Mattarella all’europarlamento, Matteo Salvini si mostra sui social con la maglia in cui campeggia la foto di Putin in divisa militare e la scritta “cedo due Mattarella in cambio di mezzo Putin!”, i tempi sono evidentemente maturi per rapporti strutturali tra il ‘capitano’ e Putin. Il 6 marzo del 2017 il leader della Lega firma l’accordo di reciproca collaborazione con Russia Unita.
“Le parti si consulteranno e si scambieranno informazioni su temi di attualità della situazione nella Federazione Russa e nella Repubblica Italiana, sulle relazioni bilaterali e internazionali, sullo scambio di esperienze nella sfera della struttura del partito, del lavoro organizzato, delle politiche per i giovani, dello sviluppo economico, così come in altri campi di interesse reciproco”, si legge. Lega e Russia Unita si impegnano a scambiarsi “regolarmente delegazioni di partito a vari livelli, per organizzare riunioni di esperti, così come condurre altre attività bilaterali”.
Il 18 ottobre 2018 Savoini è il grand commis dell’ incontro all’Hotel Metropol di Mosca con tre persone russe. Trattava con loro un eventuale (e mai realizzato) finanziamento illegale alla Lega, attraverso un’operazione che avrebbe dovuto coinvolgere delle società petrolifere.
L’inchiesta giudiziaria – partita da un’inchiesta giornalistica del 2019 – Milano viene archiviata lo scorso aprile dalla giudice per le indagini preliminari Stefania Donadeo. Savoini probabilmente millantava poteri che non aveva e – lo ribadiamo – la vicenda giudiziaria non ha avuto esito.
Però Salvini all’epoca disse che non sapeva neanche che il suo ex portavoce che fosse in Russia negli stessi giorni in cui c’era anche lui. “Non l’ho invitato io, non so cosa ci facesse”, era la difesa d’ufficio. Una ricostruzione, questa, smentita dalle immagini. Il giorno prima della riunione al Metropol, infatti, Savoini era nello stesso luogo dove si trovava Salvini: alla Confindustria di Mosca. Con lui ci sono altri leghisti doc. Assiduo delle visite a Mosca è Claudio D’Amico, già deputato e stretto collaboratore di Roberto Calderoli, di recente è stato candidato capolista a Sesto San Giovanni (la Stalingrado d’Italia, ca vas sans dire).
Ma da dove nasce la certezza che anche Savoini fosse lì? Una foto pubblicata in esclusiva dall’Espresso. Quello scatto lo immortala mentre stava parlando con Andrea Paganella. Chi è? Un senatore della Lega nonché componente della commissione esteri di Palazzo Madama. Era a Mosca perché ai tempi di Salvini al Viminale era il capo della sua segreteria.
Un uomo potente e vicinissimo al leader nonché già socio di Luca Morisi, colui che fu l’artefice della “Bestia” che ha fatto le fortune del leader della Lega. Il nome di Paganella riemerge oggi, perché Salvini ha mandato lui, insieme al deputato Simone Billi, questa sera al Campidoglio, per la manifestazione di solidarietà dopo l’uccisione di Aleksei Navalny. E chissà che questa scelta – raccontata già ieri da HuffPost – non susciti qualche perplessità.
Mantovano, 49 anni, Paganella è considerato nel Carroccio il capo-ombra, l’uomo a cui Salvini chiede consiglio sulle questioni che contano. L’alter ego del vicesegretario, insomma. Perché il vicesegretario, quello vero, è Andrea Crippa, da Lissone. Non da meno del gemello quanto a simpatie per Putin. Trentasette anni, già assistente parlamentare di Salvini a Strasburgo, mentre Savoini brigava con il presidente russo, nel novembre del 2018 lui gemellava il movimento giovanile della Lega con la Giovane Guardia di Russia Unita.
La notizia venne rilanciata anche dalla Tass. Nelle scorse ore di fronte, alla morte di Navalny, Crippa ha invitato alla prudenza nell’accusare Putin. “È prematuro additare colpevoli, aspettiamo che si faccia chiarezza”, ha detto. Crippa è considerato un avanguardista salviniano, l’uomo che fa il lavoro – ingrato, forse – di esprimere posizioni imbarazzanti per Salvini.
Tra i leghisti morbidi con Mosca possiamo annoverare Massimiliano Romeo, capogruppo per il Carroccio al Senato. Uno che ogni tanto chiede lo stop alle armi a Kiev e che durante le comunicazioni della presidente del Consiglio in vista di un incontro Ue fece mettere a verbale le seguenti parole: “Pensate che basti mandare più missili e carri armati per mettere all’angolo una potenza nucleare guidata da un uomo disposto a tutto? Volete battere militarmente la Russia?”. Non siamo ai livelli dell’associazione Lombardia-Russia, ma il senso del messaggio non sfugge.
Ma non tutti i putiniani sono rimasti vicini al leader del Carroccio. Paolo Grimoldi è passato alle cronache per aver proposto nel 2015 ai colleghi parlamentari di tutti i partiti la creazione di un intergruppo intitolato “Gli amici di Putin”.
Non della Russia, ma proprio “amici di Putin”. Nel dicembre del 2014 la cosa indignò a tal punto i deputati – da Sel fecero partire un’interrogazione parlamentare – che l’iniziativa restò lettera morta. Nel frattempo Grimoldi è diventato il più feroce oppositore interno di Salvini, al quale chiede la convocazione urgente di un congresso. In Russia non avrebbe potuto farlo.