Diritto al non oblio
Chi ha definito il massacro di Bucha una messinscena, giustificando per mesi i crimini umanitari dei russi, ora invoca privacy e indifferenza per coprire la propria infamia.
Non accadrà
Avevamo scritto qui che già solo quella dicitura, «liste di proscrizione», condannava al ridicolo quelli che denunciavano l’oltraggio democratico di esservi inseriti. A parte il fatto che, colpevolmente, quella rassegna di nomi e cognomi non è mai stata fatta, si sarebbe tutt’al più trattato di dare al mascalzone quel che era del mascalzone, appendere al petto del mascalzone le cose scritte dal mascalzone, tali e quali.
Ed era per questo che i mascalzoni si rivoltavano come vipere calpestate anche alla sola idea che si desse loro quel che loro competeva. Giammai. Perché non bisognava ricordare che recavano un firma precisa le schifezze sulla “messinscena” di Bucha.
Non bisognava ricordare che era un profilo Twitter molto ben certificato quello che ingiungeva ai leader occidentali di «chiedere a Zelensky dove vuole fermarsi», perché era saltato un pilone del ponte tra la Russia e la Crimea, una scintilla di escalation intollerabile, un atto di chiaro terrorismo che mandava in fumo il processo di pace cominciato la notte del 23 Febbraio 2022.
Non bisognava ricordare chi fosse il titolare delle rimuginazioni sul numero effettivo dei bambini deportati, che poi a ben guardare li avevano tolti dalle zone a rischio per darli a buone famiglie russe che li tenevano in sicurezza. E così le donne stuprate, che male c’era nel farsi le giuste domande, nell’avvertire i telespettatori che chissà se poi era vero, con tutta la propaganda che la fa da padrona in tempo di guerra.
E il missile che fa strage nella stazione ferroviaria? Non vuoi dare il giusto spazio ai quarantacinque minuti di analisi del reporter di guerra che spiega che probabilmente era un missile ucraino? E le stanze della tortura nei villaggi presi dai denazificatori?
Bravo, e tu pretendevi che ne parlassimo così, senza contraddittorio, senza il geopolitologo che ci ricorda Guantanamo? E il generale che richiama gli addetti all’operazione speciale al dovere morale di bruciare i bambini ucraini? Vuoi occupartene così, fuori contesto, senza ricordare i bambini vietnamiti uccisi dal napalm?
Ed era forse anonima l’accademia malvissuta secondo cui «Non ci interroghiamo sulle ragioni degli altri, non vogliamo accettare la diversità, la pluralità, la possibilità di influire con dialogo ed esempio»?
Era anonimo il giornalismo che non rinfacciava all’autore di quegli spropositi la domanda semplice, e cioè se le ragioni degli altri erano quelle che sorreggevano il deliberato massacro di civili e il bombardamento sistematico delle scuole, degli ospedali, dei mercati ucraini?
Era anonimo l’editorialismo che non domandava al professore se accettare le «diversità, la pluralità» significava farsi comprensivi verso chi pianifica lo sterminio per freddo, per fame e per sete del popolo aggredito?
Tutte queste cose – ma proprio queste, proprio così – sono state scritte e si è lasciato che fossero scritte, sono state dette e si è lasciato che fossero dette, durante il biennio di immondizia politico-giornalistica che ora invoca privacy e oblio a copertura della propria infamia, ad assoluzione del collaborazionismo in cui si è esercitato con la violenza della menzogna e nell’impunità garantita dall’esercito dei sodali.
Ma non sarebbero state allora e non sarebbero oggi liste di proscrizione. Sarebbe stato allora e sarebbe oggi, solo e soltanto, il gesto con cui si battezza la verità e la si libera dai nomi impresentabili che l’hanno contraffatta.