di Leonardo Bison / Sara Corsini
Stavolta a essere presi di mira sono i simboli di un pantheon laico bianco, occidentale, borghese.
Per questo il dibattito attorno ad essi provoca tanto scalpore: perché criticare i miti fondativi significa agire sul presente
Poco più di un mese fa, sull’onda lunga delle proteste antirazziste, che da anni negli Stati Uniti prendono di mira anche le statue, anche in Europa una statua cadeva, precisamente a Bristol, in Inghilterra, dove una folla festante abbatteva il monumento di uno spietato mercante di schiavi che ancora presidiava la principale piazza cittadina.
Il dibattito europeo e italiano si scopriva allora invaso dal terrore di una furia iconoclasta: si paventavano giornate in cui folle inferocite e prive di senno si sarebbero presto abbattute sulle statue di schiavi o di di qualunque personaggio storico avesse delle macchie nel proprio curriculum. Sui giornali era tutto un «dobbiamo contestualizzare», «allora anche il Colosseo e il Mosè di Michelangelo», «non possiamo cancellare la storia» e via discorrendo.
Un mese dopo, mentre negli Stati Uniti alcune statue e monumenti vengono effettivamente rimossi, nessuna folla inferocita si aggira per le nostre città demolendo statue di re e imperatori, nessuna petizione in Europa o in Italia sta chiedendo di rimuovere le statue di chiunque sia stato sessista, schiavista, razzista e simili in tempi diversi dal nostro.
Il dibattito, per nulla acritico, per nulla concentrato sul passato, si sta concentrando su precisi e singoli simboli e monumenti, o in senso più ampio sulla necessità di ripensare i nostri spazi celebrativi. A un mese di distanza, ci si può chiedere: perché ci si è scaldati tanto? … leggi tutto