Politicamente corretto per tutti, ma non per gli ebrei (ilriformista.it)

di Costanza Esclapon

Il doppiopesismo femminista

Fino al 7 ottobre se qualcuno avesse insultato o aggredito un ebreo per puro antisemitismo, i giornali e le istituzioni se ne sarebbero occupati e la società civile si sarebbe indignata. Il 7 ottobre oltre 1200 ebrei sono morti massacrati, mutilati, aggrediti nelle loro case, 230 sono stati rapiti e il mondo è cambiato. Ci si aspetterebbe che fosse cambiato inasprendo l’indignazione per l’antisemitismo.

Invece no, dal 7 ottobre è possibile andare per le strade urlando frasi che inneggiano allo sterminio, è possibile appendere cartelli che raffigurano gli ebrei con nasi adunchi o come ratti o con mani rapaci che afferrano il mondo, esattamente nello stesso modo in cui veniva fatto negli anni ‘30 del secolo scorso. E non succede niente. Nessuno si indigna.

In un mondo in cui non si può più fare un complimento ad una donna, in un mondo in cui non si può più dire che una persona è bella, o brutta, o grassa, o magra, in un mondo in cui non si può far riferimento al colore della pelle, in un mondo in cui prima di parlare con qualcuno bisogna chiedere se si sente maschio, femmina o altro, in un mondo in cui non possiamo ridere di chi dice di “identificarsi” in un gatto, perché tutti devono essere rispettati, si può invece dire ad un ebreo qualsiasi cosa.

In un mondo in cui sono state bandite dal vocabolario parole ritenute offensive verso gruppi etnici, si possono appendere manifesti che inneggiano allo sterminio degli ebrei e si possono fare manifestazioni che utilizzano la bandiera palestinese come simbolo di sostegno ad Hamas, cioè al gruppo terroristico che ha come obiettivo l’eliminazione dello Stato di Israele e dei suoi abitanti ebrei.

In un mondo in cui si piange e ci si indigna per il “patriarcato” e per i femminicidi che ne conseguono, in cui un intero movimento, il “Me too”, è nato e proliferato sulle denunce delle donne, sono state troppo poche, troppo tardive e troppo timide le dichiarazioni delle femministe, incluse quelle dell’Onu, a condanna dei brutali stupri di massa perpetrati da Hamas. Come dobbiamo interpretarlo? Una condanna di Hamas e dei crimini commessi allontanerebbe il sospetto che il loro silenzio per le vittime del 7 ottobre sia dovuto unicamente al fatto che erano ebree.

Da anni, da decenni non assistevamo a manifestazioni così numerose, il che sarebbe un segnale di buona salute della democrazia, ma quello che appare invece evidente, quello che accomuna queste manifestazioni è l’odio verso lo stato di Israele unito all’odio verso gli ebrei. Antisionismo e antisemitismo uniti ed equiparati. E questo è invece un sintomo pericolosissimo in tutte le democrazie. Quanti di quelli che sventolano nelle piazze le bandiere palestinesi sanno realmente per cosa manifestano? Quanti sanno il significato di quello che gridano?

Fa impressione vedere giovani che sfilano nelle strade delle nostre città scandendo slogan che inneggiano ad Hamas, allo sterminio degli ebrei e alla distruzione di Israele, che, ricordiamolo, è l’unico Stato democratico e occidentale del Medio Oriente, e che quasi certamente non hanno idea di quello che stanno dicendo.

Fa impressione perché mentre sfilano sorridenti e truccate, con le bandiere palestinesi sulle spalle e le kefieh intorno al collo, non hanno un solo pensiero, una sola parola, un solo cartello, un solo slogan per ragazze come loro, con sogni da adolescenti come loro, con vite che fino al sette ottobre erano come le loro, fatte di sport, musica, amici, scuola, trucchi, fidanzatini e filmati sui social, come loro e che sono ostaggio a Gaza da 6 mesi, stuprate e abusate quotidianamente dai mostri sanguinari di Hamas. Fa impressione vedere manifestanti scendere in piazza a sostegno di chi vuole annientare l’Occidente, di chi dichiara apertamente di voler sterminare prima gli ebrei e poi gli altri.

È bene ricordare a queste persone che anche se non gliene importa nulla della sorte degli ebrei, i “prossimi” di cui parlano i terroristi di Hamas, quelli di Hezbollah e l’Iran, sono gli occidentali, cioè loro stessi. Queste piazze sono aggressive, intolleranti, provocatorie ed arroganti e sono composte da gente che una volta a casa, ripiegata la bandiera palestinese e messa via la Kefiah e il cartello antisemita, si indignano per i femminicidi, per gli stupri, per i mancati diritti delle famiglie omogenitoriali e che sono magari scesi in piazza per Giulia Cecchettin. Però non riescono a dire una sola parola di solidarietà per le donne brutalizzate e per i rapiti in mano ad Hamas.

Eppure chiedere la liberazione degli ostaggi non solo è perfettamente compatibile con la richiesta di cessate il fuoco ma è anzi la soluzione al conflitto. Per quale motivo i pro-Pal che si professano pacifisti non chiedono ad Hamas di accettare i numerosi cessate il fuoco che Israele ha proposto? Perché non chiedono ad Hamas di rilasciare gli ostaggi? Cosa gli fa pensare che sia giusto avere ostaggi, seviziare neonati, bambini, anziani, ragazze e ragazzi anche a costo di una guerra?

Gli slogan e i canti che accompagnano le manifestazioni sono intrisi di odio antisemita e hanno creato un clima insostenibile per gli ebrei nel nostro Paese e in tutto il mondo occidentale. Questi giovani urlano “Palestina libera”, “from to river to the sea”, “stop al genocidio” e tutta la serie di frasi che abbiamo imparato a conoscere e che sono state create da sostenitori di Hamas organizzati ed esperti di manipolazione.

La generazione che manifesta per la Palestina si è formata più su TikTok che sui libri di scuola e non ha gli anticorpi che solo lo studio può dare, non ha sviluppato un senso critico fondato su un minimo bagaglio culturale e non è abituata alla verifica delle fonti e dei fatti. Quelli che vediamo con striscioni e bandiere sono la personificazione del pericolo dei social media su menti che saltano dal tutorial su come farsi il trucco per la serata in discoteca ai video che inneggiano all’odio per Israele e per gli ebrei.

Questi pasionari allevati da TikTok non sanno cosa significano i termini che usano, confondono la guerra col genocidio, lo sterminio con le vittime di guerra, i ghetti con i confini, non sanno niente della storia e soprattutto non sono abituati e nemmeno disposti, ad informarsi su fonti qualificate. Hanno una cultura da fast food dell’informazione. Vanno a manifestazioni organizzate da persone che mettono i più fragili e inesperti davanti al corteo, in cerca di uno scontro e possibilmente di qualche ferito. La manifestazione di Pisa è emblematica.

I genitori considerano i loro figli abbastanza grandi per manifestare in maniera violenta contro le forze dell’ordine e quando accadono incidenti sono i genitori stessi che vanno in piazza a difenderli definendoli “bimbi”. Corrono a gridare che i loro “bimbi” sono stati aggrediti e picchiati, ancora prima che vengano accertate le responsabilità.

Sono gli stessi genitori che protestano, anche in maniera violenta, con i professori a scuola in difesa dei figli somari e indisciplinati e che sono pronti a fare ricorso per bocciature spesso meritate. Fa dunque impressione come le piazze pro-Pal siano il frutto della cultura di TikTok e dei social e fa impressione vedere quanto le giovani generazioni siano permeabili a falsi miti, ideologie antioccidentali, fake news e di quanti pochi strumenti gli siano stati forniti, dalla scuola e dalle famiglie e dalle istituzioni, per difendersi dalla macchina della disinformazione.

Appare chiaro che queste persone non sanno che quelli per cui stanno manifestando, Hamas, sono gli stessi che vogliono l’eliminazione di tutta la cultura giudaico cristiana che è alla base del mondo in cui viviamo. Che sognano un Colosseo islamizzato, la mezzaluna sulle chiese, la bandiera del califfato a San Pietro. Non lo sanno perché su TikTok queste cose non gliele dicono. E se gliele dicono, motivandole, a loro non interessa, perché manifestare per la Palestina è anche un fenomeno di moda, come le Jordan della Nike che hanno ai piedi, fa parte dell’accettazione del branco.

E fa una certa impressione vedere come i nostri giovani manifestino quindi per la fine del loro stesso mondo. Fa impressione vedere gruppi LGBTQ+ manifestare per Hamas, quando Hamas ha perseguitato e ucciso gli omosessuali di Gaza. Stiamo assistendo inermi, o peggio, compiacenti, alla primavera araba dell’Occidente. Le istituzioni dovrebbero essere capaci di vedere e gestire questa situazione, intervenendo con decisione a difesa dei valori democratici.

E una cosa deve essere chiara: se gli ebrei nel nostro Paese non sono al sicuro, anche noi non siamo al sicuro.

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