Una di troppo
A quattro mesi dal pogrom antiebraico, non ci sono state ancora militanti transfemministe che abbiano condannato gli orrori commessi dal gruppo terroristico palestinese il 7 ottobre
Nella definizione del critico Roger Ebert l’idiot plot è «qualsiasi trama contenente problemi che sarebbero risolti all’istante se tutti i personaggi non fossero idioti». Più che genere cinematografico, una profezia sul presente. Ciò che non viene detto qualifica le persone meglio di ciò che dicono. Sono passati quattro mesi dal 7 ottobre e il movimento femminista non ha speso una parola per le donne stuprate e ammazzate da Hamas, non una parola sulle ragazze ancora in ostaggio, siamo al mutismo selettivo come risultato dell’empatia selettiva.
Il problema è sempre e solo essere degli ipocriti. Dopo aver passato gli ultimi anni a far licenziare chiunque usasse una parola in un modo che per loro non era appropriato, a formulare teoremi incomprensibili su etica e biologia, il risultato del movimento transfemminista è stato quello di definire le donne unicamente in base alla tombola dell’intersezionalità.
Hanno fissato uno standard morale che nessuno è in grado di reggere, tanto che si è reso necessario fissare un doppio standard per essere all’altezza del mondo che hanno costruito. L’uso disinvolto del termine genocidio è lì a ricordarcelo.
L’errore è stato dare per scontato che il movimento femminista davanti alla cronaca di uno stupro di massa si sarebbe comportato in maniera meno scadente. Qualche tempo fa mi è capitato di leggere su X una conversazione in cui una persona chiedeva perché lo stupro fosse moralmente più deprecabile dell’omicidio. È che lo stupro non ha mai avuto, non ha, e non avrà mai nessuna giustificazione, mentre l’omicidio potrebbe pure avere un movente da qualcuno ritenuto accettabile.
Ma torniamo all’idiot plot. Il 24 dicembre 2023, due mesi e mezzo dopo aver visto terroristi sputare sul corpo seminudo e semimorto di una ragazza portata in parata, quelle guastafeste di “Non una di meno” organizzano un Natale transfemminista in casa Cupiello.
Scrivono un manualetto con le slide da usare durante il cenone di Natale per aiutare le persone a rispondere alle domande indiscrete dei parenti, tipo: «Voi difendete la Palestina ma quelli di Hamas sono dei criminali. E le donne israeliane che hanno subito stupri e mutilazioni?».Forse era meglio quando i parenti chiedevano «quand’è che fai un figlio?» e non si occupavano di Medio Oriente.
Comunque sia, la risposta è: «Sì certo che difendiamo un popolo che è vessato da più di settanta anni e che sta subendo un genocidio. Difendere la Palestina libera non esclude affatto indignarsi di fronte allo stupro come arma di guerra. Del resto, lo abbiamo sempre fatto, perché non c’è guerra di colonizzazione che non si abbatta sui corpi di tutte le persone oppresse. Boycott the capital, boycott Israel». I parenti saranno soddisfatti e pronti a mangiare con gioia il capitone.
Nella loro cosmogonia, non essendo le donne israeliane oppresse, non possono occuparsene e questa risposta non si riferisce certo alle vittime di Hamas. Hamas non viene e non verrà mai nominato. Le donne israeliane non vengono e non verranno mai nominate. Gli ostaggi non vengono e non verranno mai nominati. Siamo quindi arrivati al passaggio successivo all’empatia selettiva, che è il negazionismo.
Mi sembra evidente che dopo il boicottaggio del Carrefour sia iniziato il boicottaggio della psicanalisi, della teoria della relatività e quello dei farmaci generici. Il 23 febbraio “Non una di meno” di Milano pubblica nelle storie del proprio profilo Instagram un post di novembre del gruppo Queers in Palestine: “Un appello liberatorio da parte di persone queer in Palestina”.
Un estratto dell’appello liberatorio: «Attivist3 femminist3 e queer, in solidarietà con la Palestina, in tutto il mondo, stanno affrontando attacchi e molestie da parte di sionist3, con la premessa che coloro che sostengono la Palestina sarebbero “stuprati” e “decapitati” dall3 palestinesi per il solo fatto di essere donne e queer.
Eppure, il più delle volte, lo stupro e la morte sono ciò che l3 sionist3 desiderano per le donne e le persone queer che sono solidali con la Palestina. Le fantasie sioniste di corpi brutalizzati non ci sorprendono» eccetera eccetera.
Se non ci fosse il boicottaggio della psicanalisi parlerei di proiezione. L’appello liberatorio si conclude con il piglio delle relatrici speciali: «Secondo il diritto internazionale, Israele non ha diritto di “difendersi” dalla popolazione che occupa, mentre l3 palestinesi hanno il diritto di resistere alla loro occupazione».
Quindi: i palestinesi, che sono Hamas, che è un movimento di resistenza, hanno tutto il diritto a mettere in pratica il 7 ottobre quante volte gli pare. E questa è la posizione che il movimento transfemminista in Italia ritiene di dover condividere sui propri canali pubblici.
Il 24 febbraio a Milano si è svolta una manifestazione a sostegno della Palestina, hanno partecipato diversi gruppi, tra cui le guastafeste che scrivono:
«Per questo essere in piazza con lə palestinesə e per la P4l3st1n4 libera è parte di un percorso che faccia in modo che termini come decolonizzazione e intersezionalità non siano parole vuote, ma pratiche politiche attraverso cui mettere in discussione la riproduzione della bianchezza e costruire lotte che siano di tuttə le persone oppresse a partire da un posizionamento transfemminista per cui non possiamo essere liberə finché non lo saranno tuttə. La nostra presa di posizione femminista e transfemminista è contro il genocidio compiuto dallo Stato di Israele, perché vediamo una continuità tra genocidio e femminicidi, lesbicidi e transicidi. Israele è un progetto coloniale e genocida dalla sua concezione, i movimenti anticoloniali in tutto il mondo lo sanno e lo dicono; il sistema in cui viviamo si regge su guerra, colonialismo e supremazia bianca”».
Sinceramente non capisco la timidezza nell’usare «bianchezza» invece che «razza ariana», ma magari ho letto male io con tutti quei 3 e quelle ə.