Morte e fascismo hanno sempre marciato insieme.
L’estetica della morte ha annunciato l’avvento dei fascismi in Europa e ha segnato il tempo della loro catastrofica fine. Gli squadristi ante-marcia portavano sui loro labari neri il teschio con sotto la scritta “Me ne frego” ad affermare nel disprezzo della morte propria il diritto sovrano a disporre della vita altrui. Così i “proscritti” dei freikorps protonazisti.
I macellai dei Battaglioni “M” – quelli che servivano i tedeschi nel fare il lavoro sporco nei mesi della guerra di liberazione – cantavano “fiocco nero alla squadrista/ noi la morte/l’abbiam vista/con due bombe e in bocca un fior”. Oppure, ancora, “Ce ne freghiamo se la Signora Morte/fa la civetta sul campo di battaglia/Sotto ragazzi, facciamole la corte! /Diamole un bacio sotto la mitraglia!”.
Beh, forse mi sbaglio. Ma di quel fondo oscuro esistenziale sento di nuovo un vago odore (vago, certo!), nell’alone funebre prodotto dal coronavirus nel mondo e nella morte seriale che sta disseminando. Ne avverto il retrogusto nelle esibizioni machiste di Bolsonaro in Brasile, nel menefreghismo trumpiano di fronte al dilagare del morbo nelle sue città, nelle teorie dell’”immunità di gregge” e nelle invocazioni del business must go costi quel che costi da parte dei padroni nel mondo.
E anche, si parva licet, nei deliri sgarbiani sulla debolezza del virus e dunque sulla codardia di chi lo teme … leggi tutto