La “coincidenza”
Per quella fuga di notizie senza precedenti, il tribunale di Roma, presidente Paola Roia, ha condannato questa settimana ad un anno e sei mesi di carcere il maggiore Giampaolo Scafarto, all’epoca dei fatti capitano in servizio al Noe di Roma
A meno che i diretti interessati non spieghino il motivo, è destinato a rimanere un mistero perchè i carabinieri del Nucleo operativo ecologico dell’Arma dei Carabinieri (Noe), decisero di “bruciare” la loro maxi inchiesta sugli appalti Consip, allora condotta dalla Procura Napoli, realizzando, come dirà poi il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini, “la più grande fuga di notizie mai realizzata nella storia giudiziaria italiana”.
Per quella fuga di notizie senza precedenti, il tribunale di Roma, presidente Paola Roia, ha condannato questa settimana ad un anno e sei mesi di carcere il maggiore Giampaolo Scafarto, all’epoca dei fatti capitano in servizio al Noe di Roma.
Le soffiate al Fatto
Secondo i giudici della Capitale, sarebbe stato proprio Scafarto ad avvertire i giornalisti del Fatto Quotidiano del contenuto delle dichiarazioni accusatorie dell’ex ad di Consip Luigi Marroni e che il comandante generale dell’Arma dei carabinieri, il generale Tullio Del Sette, era stato iscritto nel registro degli indagati con l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio.
Le informazioni di Scafarto verranno utilizzate dal Fatto per scrivere una serie di articoli, il primo il 22 dicembre 2016, dal titolo: “La soffiata, gli appalti e papà Renzi. Indagato il comandante dell’Arma”. E poi: “Favoreggiamento nell’inchiesta Consip. Indagato Del Sette. Tremano la politica e il Giglio Magico”. Se Scafarto avvisò i giornalisti del Fatto Quotidiano, il suo comandante dell’epoca, il colonnello Alessandro Sessa, in quel momento numero due del Noe, dopo averlo saputo omise di denunciarlo e per questo è stato condannato a tre mesi di reclusione.
“È un caso eclatante che rischia di minare la credibilità degli organi inquirenti”, aggiunse all’epoca Legnini, sottolineando che “la gravità delle fughe di notizie si concretizza nel rischio di ledere il principio costituzionale di non colpevolezza”.
“Non si può ignorare il ripetersi di tali episodi” e si deve “preservare la riservatezza” anche con misure organizzative che definiscano al meglio “la catena delle responsabilità all’interno degli uffici inquirenti e nel rapporto con la polizia giudiziaria”, proseguì ancora il vice presidente del Csm, in quel momento particolarmente scosso per quanto stava accadendo. Per la cronaca, gli indagati di Scafarto, ad iniziare da Del Sette, sono stati poi assolti.
Ma quanto accaduto, come detto, bruciò l’inchiesta Consip a cui i carabinieri del Noe avevano iniziato a lavorare fin dal 2014, studiando le migliaia e migliaia di carte del super appalto Facility management (Fm4) indetto da Consip – la società del Ministero dell’Economia che opera per la gestione degli acquisti di beni e servizi per conto della Pubblica amministrazione – per l’affidamento dei servizi gestionali di uffici pubblici, università e centri di ricerca, dal valore di 2,7 miliardi di euro.
Il 21 dicembre 2016, il giorno in cui i giornalisti del Fatto scriveranno l’articolo incriminato, uno stralcio del fascicolo Consip era arrivato per competenza alla Procura di Roma, diretta in quel momento da Giuseppe Pignatone. Una “coincidenza”.
Il giallo delle microspie
La Procura di Roma, ricevuto l’incartamento, riscontrò nei giorni successivi irregolarità ed errori nelle indagini effettuate dai carabinieri del Noe che avevano condotto fino a quel momento le operazioni. Inizialmente, il pm romano Mario Palazzi fece anche riscrivere l’informativa a Scafarto. Ma poi, proseguendo le fughe di notizie, decise di togliere il fascicolo al Noe e di assegnarlo al Reparto operativo della Capitale.
A carico di Scafarto vennero allora contestate le accuse di rivelazione del segreto, falso e depistaggio. Poi tutte archiviate dal gup di piazzale Clodio Clementina Forleo. Dagli atti emerse che i carabinieri del Noe volevano addirittura intercettare Del Sette e anche l’allora capo di Stato Maggiore Gaetano Maruccia. L’attività, non andata in porto, doveva essere effettuata ricorrendo all’utilizzo di sofisticatissime microspie da piazzare nei loro uffici di viale Romania.
Ma le domande da porsi sono però altre. La prima, certamente, è come mai un reparto speciale dell’Arma che è preposto alla tutela dell’ambiente si occupava in quegli anni di appalti pubblici alle dipendenze del pm Henry John Woodcok. La seconda, invece, riguarda il destino di questa indagine che arrivò a sfiorare Matteo Renzi. Dopo l’emissione di una misura cautelare nei confronti di Alfredo Romeo, nell’indagine Consip non accadde infatti più nulla.
Non verrà arrestato nessuno. Solo un lungo braccio di ferro tra il gip Gaspare Sturzo e la Procura di Roma, dopo che quest’ultima aveva chiesto a sorpresa l’archiviazione per tutti gli imputati. Il processo si trascinerà quindi per anni fino all’archiviazione per gli imputati questa settimana. Ieri, riportando la sentenza di assoluzione,
il Fatto Quotidiano si è “dimenticato” di citare il motivo della condanna di Scafarto…