Non solo Papa Francesco. Perché tanti sono indulgenti con Putin e duri con Kyiv (ilfoglio.it)

di ADRIANO SOFRI

PICCOLA POSTA

L’incomprensibile condiscendenza, di certe destre e certe sinistre, verso la Russia, che mai viene invitata ad arrendersi. Mentre si dà addosso all’altra parte, quella che si sta difendendo

Il fallibile Ceccherini, poi, “si è scusato”. Dice che anche sua moglie lo ha sgridato, anzi, “più di tutti”. Ceccherini aveva una buona ragione per sperare: “Io capitano” era piaciuto “anche al Papa”. (Anche a me del resto). Il Papa non ha moglie, e non si è scusato.

Domenica, a mezzogiorno, ero sotto il balcone per sentire, ha parlato di Nicodemo, per il vangelo del giorno, poteva almeno attaccarsi al nicodemismo, non ha fatto cenno della cosa, ha solo ripetuto la martoriata Ucraina, che ormai rischia di suonare come la verde Umbria o Bologna la grassa ma Napoli la spassa. O la Svizzera a orologeria: l’intervista al Papa è stata registrata il 2 febbraio, sarà messa in onda il 20 marzo, è stata resa nota in quello stralcio della bandiera bianca il 9 marzo. Va’ a capire.

Poi il Vaticano, attraverso il malcapitato Matteo Bruni, è corso ai ripari, ma voce dal sen fuggita. In realtà, una toppa ci stava. La bandiera bianca l’aveva nominata lo svizzero, e Francesco poteva averla ripetuta non come quella della resa, sul ponte sventola, ma come quella che un onesto e disarmato cheyenne impugna per galoppare alla volta delle giacche blu con l’intenzione di parlamentare – in genere finisce male anche là.

E più in là il Papa diceva: il negoziato non è una resa. Il Papa non ha chiesto all’Ucraina di arrendersi, ha provato a dire il Vaticano. Domenico Quirico sì: “Finalmente! … Solo il Papa poteva avere il coraggio di far questo: …ovvero dire arrendersi, alzare bandiera bianca, trattare. Questa è la virtù profetica”. (Non è il coraggio di arrendersi, è il coraggio di arrenderli).

La questione sembra vertere sull’esegesi autorizzata, la Sala stampa o la Stampa. Ma è tutto uno scherzo. La questione era ed è la solita: perché il Papa ammonisca sempre gli ucraini a negoziare, e mai i russi, tanto più che chiunque non sia pregiudicato vede bene che Zelensky tiene arditamente o infantilmente il punto sull’impossibilità di negoziare con Putin, ma è Putin che non ha nessuna intenzione di negoziare.

Constatazione che, aggiunta al dettaglio dell’invasione russa e della guerra che infuria esclusivamente o quasi sul suolo ucraino, dovrebbe raccomandare al Papa di invertire il destinatario. Anche al minimo costo, anche senza cambiare le parole: “E’ più forte quello che vede la situazione, pensa al popolo e ha il coraggio della bandiera bianca e negoziare”. Semplicemente, detto ai russi.

Ma il Papa, si dirà, lo dice agli ucraini perché si è convinto che gli ucraini stiano perdendo. Eh no, perché lo diceva agli ucraini anche quando gli ucraini sfondavano le difese russe e dilagavano a Kharkiv o a Kherson.

Ieri ho ascoltato le rassegne stampa di Federico Fubini (e di Carlo Romeo), ero ansioso – non di Abruzzo, l’Abruzzo poteva sembrare una sconfitta solo perché si era troppo promessa una vittoria, un po’ come aveva fatto, si parva, Zelensky con la controffensiva, sicché la controffensiva mancata era diventata una disfatta, e il Papa aveva colto l’occasione per la bandiera bianca.

Mi ha divertito che Fubini abbia citato il costo del Superbonus, se non ho sentito male – a quell’ora dormiveglio – a 170 miliardi di euro, per il 4 per cento del patrimonio edilizio. Mi ha divertito perché i più sfrenati apologeti del Superbonus edilizio sono anche i più indignati dalla prospettiva dei miliardi – “soldi nostri”, i soldi sono sempre loro – ipotizzati per la ricostruzione della annichilita Ucraina. Non ho fatto il conto di un teorico costo intero per gli interventi edilizi in Italia – fatelo voi, basta aggiungere il 96 per cento.

Fubini ha riassunto anche il commento di Lucio Caracciolo su Repubblica, che in sostanza dichiara infondato l’argomento secondo cui la vittoria in Ucraina farebbe ragionevolmente temere la tentazione di Putin a non fermarsi là.

Gliel’ha contestato sulla scorta delle stesse dichiarazioni di Putin, che ormai andrebbero prese in parola benché suonino come le parole di un pazzo, per esempio a proposito dell’Estonia. Caracciolo del resto, che non crede a disegni espansivi ulteriori di un Putin vittorioso su una Ucraina arresa, non credette altresì che Putin avrebbe invaso l’Ucraina due anni e qualche ora fa.

Dissento invece dalla convinzione di Fubini che la stanchezza dell’Ucraina non sia affare di uomini ma di armi e munizioni. Non solo perché uomini e armi si tengono, ma perché la penuria e la fatica dei combattenti ucraini sono evidenti e pubblicamente discusse.

Lo testimonia l’età media dei combattenti, unanimemente riconosciuta come superiore ai 40 anni, la durata estenuante del servizio al fronte, che suscita proteste pubbliche di madri e mogli, la pesante difficoltà del reclutamento. Sono le questioni determinanti, assieme alle insofferenze personali che non mancano mai, delle divergenze interne alla leadership ucraina, che attraversano politici e militari.

Chi abbia vinto e chi abbia perso, e che cosa, resta da vedere. Abbiamo ricordato più volte qual era la posta iniziale, la guerra lampo che avrebbe preso Kyiv e mandato Zelensky a Las Vegas o direttamente al Creatore – non so che cosa sia peggio.

E resta soprattutto da spiegare, spiegarsi, al di là della maldestra unilateralità papale sulla resa della martoriata Ucraina, la santa alleanza, il sacro egoismo, di certe destre e certe sinistre – il centro non c’è, muore in guerra – nel dare addosso all’Ucraina non democratica, dispotica, repressiva, tatuata, corrotta, e maneggiare con tanto incomparabile indulgenza la Russia di Putin.

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