Dossieraggio, Cerno: “Caro De Raho il finanziere Striano accusa lei”

di Tommaso Cerno

Carissimo Onorevole Federico Cafiero De Raho,

che oggi – nello spirito dell’articolo 67 della Costituzione repubblicana – rappresenta la Nazione e quindi anche noi comuni mortali, ci deve dire una cosa: non sembra anche a lei che il Luogotenente della Finanza Pasquale Striano la stia accusando?

Sì, perché la storia – molto fumosa e inquietante – che porta dritta alle banche dati violate dal finanziere Striano cresce dentro una istituzione sacra di questo Paese che si chiama Direzione nazionale Antimafia. Per capirci, quella superprocura ideata e messa in piedi da un signore di nome Giovanni Falcone, negli anni in cui gli italiani si fidavano ancora dei giudici, lottava per un’Italia migliore.

Perché se dalla parte della scrivania dove sedeva anche lei non ci fossero state persone pulite, trasparenti e disposte a sacrificare la vita per la parola Giustizia, la mafia non avrebbe aperto la stagione delle stragi, non avrebbe dichiarato guerra allo Stato e non avrebbe assassinato Falcone e la sua scorta, né Paolo Borsellino, né tutti gli altri magistrati, politici, poliziotti, carabinieri, giornalisti che cercavano di combatterla.

Bene, succede che raccontando come ha fatto il Tempo in questi giorni i contorni inquietanti della storia dei dossieraggi di Stato illegalmente messi in atto da funzionari dello stesso Stato per colpire cittadini, politici, vip, imprenditori e come si è scoperto – ricostruendo le singole vicende – per interferire sulla normale vita democratica del Paese, perfino durante il voto per l’elezione del Presidente della Repubblica, ci si rende conto che questo finanziere in servizio per l’Antimafia, che lei ha guidato fino alla sua discesa in politica, non aveva agito da solo.

E incrociando questo racconto con le rivelazioni de Il Giornale e della Verità, che hanno raccolto il pensiero di Striano, è chiaro ormai che questo signore sta dicendo a tutti noi, e immagino anche ai magistrati di Perugia – Raffaele Cantone in testa – che indagano su questa storiaccia a metà fra una P2 dei tempi nuovi e un ricatto di Stato, che lo spione era lui ma a dargli l’ordine erano i suoi superiori.

Ebbene, se uno più uno fa ancora due, lei era il capo dell’Antimafia. Cioè il responsabile di quegli uffici e dei comportamenti dei suoi sottoposti. Siccome non sono uno che tira a indovinare, ma non credo alle coincidenze, le pongo alcune semplici domande: lei ha ordinato a Striano alcuni di quei controlli illegali nel sistema analisti?

Se sì, per quale ragione? Se no, ha mai controllato se nei suoi uffici qualcuno prelevasse dati sensibili senza la sua autorizzazione? Se sì, perché non l’ha denunciato? Esisteva o no una procedura di controllo degli accessi a quei data base?

Glielo chiedo per due ragioni. La prima è che, leggendo la storia che sta uscendo, Striano – in pratica – dice che agiva per ordine suo. O di chi stava sotto di lei. Secondo, perché la politica – di cui lei adesso è un esponente di primo livello – le ha chiesto chiarimenti e lei non li ha forniti. Mentre il suo stesso partito, il Movimento 5 stelle, non solo è stato vittima dei dossieraggi in questione, ma ha chiesto proprio sul Tempo qualche giorno fa per voce di Roberto Fico di andare fino in fondo alla storia.

Mi scusi se glielo domando: ma se non parla lei, che stava seduto su quella poltrona, e che ha ricevuto da Striano e dal pm Antonio Laudati richieste di autorizzazioni per aprire dossier investigativi, chi può dirci come è andata davvero? E lei perché non lo fa?

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