di Massimo Gramellini
il caffè
Circola sui social, ed è ormai planata in tv e sui giornali con l’avallo di studiosi del calibro di Pino Arlacchi, la brillante teoria secondo cui ad architettare l’attentato di Mosca sia stata la Cia.
Diranno i soliti ingenui: ma non erano stati proprio gli americani ad avvertire, inascoltati, i russi del rischio di un imminente attacco da parte dei fondamentalisti islamici?
Appunto, era il tentativo di precostituirsi un alibi: il giorno prima di venire a casa tua, il ladro telefona sempre per segnalare che qualcuno sta per derubarti. Quanto al fatto che, dopo l’attentato, i terroristi siano fuggiti per oltre 400 chilometri senza che nessuno li intercettasse, non può certo essere imputato alle falle dell’apparato di sicurezza russo, la cui implacabile efficienza è garantita ogni settimana in tv dal professor Orsini, ma all’azione di disturbo degli ucraini.
Sarà anche vero che i terroristi islamici ispirati da Zelensky, ebreo, scappavano verso la Bielorussia nemica dell’Ucraina, per di più su un’automobile con targa bielorussa. Ma come non cogliere, in queste apparenti sbavature, la sulfurea capacità di dissimulazione dei mestatori occidentali?
E c’è un’altra scomoda verità che nessuno, nemmeno Arlacchi, ha avuto ancora il coraggio di rivelare: lo stesso Putin è un agente segreto del MI6 britannico. O davvero pensavate che la sua somiglianza con Daniel Craig, l’attore degli ultimi James Bond, fosse solo frutto del caso?