Per fermare la disinformazione serve un’agenzia ad hoc. Parla Borghi (Iv) (formiche.net)

di Gabriele Carrer

Il senatore di Italia Viva e membro del Copasir 
propone un terzo servizio sotto il Dis, oltre 
ad Aise e Aisi, che si occupi di sicurezza 
cognitiva. 

“Nessuno scenario orwelliano, dobbiamo modernizzare gli strumenti a tutela della corretta e libera informazione”, spiega. Con la presentazione del disegno di legge “vogliamo aprire il dibattito, siamo aperti al confronto anche sulle forme di organizzazione”, aggiunge

All’Italia serve un’agenzia per la disinformazione e la sicurezza cognitiva. Ne è convinto Enrico Borghi, capogruppo di Italia Viva in Senato e membro del Copasir, che oggi ha presentato un disegno di legge in merito.

Dove si dovrebbe collocare l’agenzia nell’architettura istituzionale italiana e con quali funzioni?

Il disegno di legge prevede una nuova agenzia d’informazione, da affiancare ad Aise e Aisi sotto il coordinamento del Dis, che si occupi di disinformazione e sicurezza cognitiva, con la funzione di monitorare e interpretare l’andamento dei fenomeni di disinformazione per consegnare a governo e parlamento, secondo le forme previste dalla legge 124 del 2007, la fotografia di ciò che accade. Ma siamo aperti al confronto anche sulle forme di organizzazione, che possono essere diverse, prendendo anche in considerazione un’agenzia fuori intelligence ma comunque alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Anche alla luce della velocità dell’informazione e delle capacità di reattività richieste a chi si occupa di fact-checking, che esposizione pubblica dovrebbe avere l’agenzia contro la disinformazione?

La risposta sta nel dibattito che intende aprire. Su questo, anche il contributo dei professionisti di giornalismo e comunicazione è importante. Lo strumento deve consentire alla moneta buona di scacciare quella cattiva, considerato che quest’ultima, la disinformazione, ha minori costi e maggiori opportunità del giornalismo tradizionale. Sapere che è in atto un’attività pianificata e ostile di diffusione di notizie false può consentire anche, nella libertà e nell’autonomia dell’editoria, di compiere scelte che siano coerenti con rispetto del principio di verità.

Non pensa che una simile struttura finisca per essere considerata una sorta di agenzia della verità di sovietica memoria?

È il rischio che dobbiamo assolutamente evitare e nel disegno di legge non viene alcuna competenza censoria. Al contrario, credo che una struttura pubblica a garanzia della sicurezza delle comunicazioni si debba fondare sul principio della libertà stampa e sull’articolo 21 della Costituzione, e per qualche misura esserne complemento e corredo. “Una cosa di cui i pesci non sanno assolutamente niente è l’acqua”, diceva Marshall McLuhan: oggi siamo immersi, come i pesci, dentro un flusso informativo continuo di cui non sappiamo nulla. Sappiamo che qualcuno può inquinare l’acqua in cui viviamo, ora serve trovare il modo per depurarla.

Come?

La tutela della libertà stampa e il rispetto della deontologia professionale dei giornalisti sono due risposte. Un’altra è dettata dall’esigenza di identificare gli agenti dell’inquinamento comunicativo. Un’agenzia simile non ha nulla a che fare con scenari orwelliani. È semplicemente la risposta all’esigenza di modernizzare gli strumenti a tutela della corretta e libera informazione considerato che le competenze in materia di disinformazione, di AgCom e delle attuali agenzie d’informazione, sono limitate e parziali. Nel testo, comunque, le autorità preposte all’intervento a valle rimangono quelle indipendenti.

C’è un precedente poco felice, quello degli Stati Uniti: il Consiglio per la governance della disinformazione del dipartimento della Sicurezza interna degli Stati Uniti ha avuto un direttore (Nina Jankowicz) per meno di un mese, nel 2022, per poi essere stoppato. Un altro rischio è quello di rendere l’agenzia un parafulmine?

Il rischio c’è, ma si tratta di capire che tipo di funzione attribuire a questa agenzia. Con questo disegno di legge vogliamo aprire un dibattito nel Paese e siamo aperti a qualsiasi possibilità di approfondimento e miglioramento, anche sull’organizzazione. Dobbiamo fare tesoro di tutte le esperienze nel mondo occidentale, come l’agenzia per la difesa psicologica in Svezia, Viginum in Francia che è posta nell’ufficio del primo ministro. Ma anche quella americana, per non commettere gli stessi errori.

Come si integra la nascita di questa agenzia con la necessità di una strategia che affronti tutti i vettori dell’influenza esterna come, solo per fare un esempio, le penetrazioni economica e accademica?

Con due risoluzioni distinte, il Parlamento europeo ha evidenziato il tema delle ingerenze straniere nei confronti delle democrazie occidentali e quello delle ingerenze russe in occasione delle prossime elezioni europee. È necessario dotarsi a livello nazionale di strumenti per tutelarsi da questi rischi, nella consapevolezza che la disinformazione è un tassello di una guerra ibrida combattuta su vari livelli e con vari strumenti che soltanto all’apparenza sono sganciati tra loro. Serve la consapevolezza che le attività ostili verso l’Occidente vengono portate avanti con modalità diverse da attori distinti che però hanno un obiettivo comune: renderci subalterni.

Ovvero?

Vediamo una posizione ostile e bellica da parte della Russia. Una simile posizione da parte dell’Iran ma attraverso i proxy come gli Houthi. E un’attività ostile silenziosa da parte cinese, che porta avanti una colonizzazione economica endemica e attacchi silenziosi ma mirati, di cui anche io sono stato vittima. E ahimè c’è chi, come Massimo D’Alema, va in Cina a magnificare la leadership del Partito comunista cinese mentre lo stesso conduce queste attività ostili nei confronti dei rappresentanti del suo Paese, che ha anche servito come presidente del Consiglio.

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