Il ruolo cruciale dei partiti europeisti nel respingere chi soffia sulla paura (linkiesta.it)

di

Ribollire gialloverde

In questo tempo di crisi e incertezza servono stabilità, sicurezza e una direzione chiara, contrastando la narrazione fintamente pacifista delle forze populiste e sovraniste

Per chi vota la crisi internazionale? Le vele di quali partiti gonfieranno i venti di guerra che si stanno alzando? Probabilmente a giugno voteremo per le elezioni europee in un clima ancora più difficile di quello di oggi, forse saremo nella fase cruciale del conflitto tra Russia e Ucraina, forse dinanzi a una svolta (ma di che tipo?) nella vicenda di Israele, comunque sempre più vicini alla fatidica data del 5 novembre, il super-match tra Joe Biden e Donald Trump da cui tutto dipende e che segnerà in ogni caso una svolta a livello globale. La situazione europea intanto sta diventando pericolosissima. Non diciamo appesa a un filo, ma quasi.

L’intervista di Donald Tusk a Repubblica e altri giornali europei in questo senso è illuminante: «La guerra in Europa è un pericolo reale». Il suo Paese, la Polonia, che ben conosce la famelica attitudine guerresca della Russia, è in allerta. Gli europei cominciano davvero ad avere paura.

I giovani, soprattutto, cresciuti nell’ansia di non trovare un lavoro, di vivere in un clima malato e pressati da crescenti problemi di natura psicologica, avvertono il rumore di fondo di una catastrofe. Ha scritto Sergio Fabbrini sul Sole24Ore: «La minaccia della guerra ha un’eco diversa in parti diverse dell’Ue.

Essendo priva di un meccanismo (seppure basilare) di centralizzazione e legittimazione, l’Ue non è in grado di identificare una posizione collettiva (europea), ma è costretta a far coincidere l’interesse europeo con la somma degli interessi nazionali. Tuttavia, con gli allargamenti che si sono succeduti, in particolare con quello del 2004-2007-2013, la disomogeneità degli interessi nazionali è cresciuta drammaticamente». Il che peggiora le cose.

Nessuno sa dire dove si indirizzerà politicamente, da noi, questa nuova paura. Può darsi che il pacifismo, nelle sue varie forme, anche quelle più rozze, riesca a mobilitare in suo favore l’istintiva reazione ostile ai venti di guerra: è la scommessa, da ultimo, di Michele Santoro e della sua lista da talk show, ma anche di Giuseppe Conte, ostile da sempre a Kyjiv, e sull’altro fronte di Matteo Salvini, più chiaramente filo-putiniano e pacifista nel senso trumpiano del termine: se vince la Russia c’è la pace. Che poi la verità è opposta: se vince Putin, ha vinto la guerra.

Tutto questo ribollire gialloverde che va da Carlo Rovelli al pratone di Pontida, passando per la Cgil e l’avvocato del popolo, sembrerebbe crescere anche grazie all’apporto di quella parte importante del mondo cattolico che stressa le parole del Pontefice che sono quelle di un pastore di anime e non di uno statista.

Però è più probabile che si verifichi quello che ha scritto Stefano Folli su Repubblica: «Ora che la crisi internazionale è peggiorata si tende a riporre maggiore fiducia nei partiti più grandi». Diremmo noi, nei partiti più responsabili. Che non significa – sentiamo già le obiezioni – partiti guerrafondai, ma partiti ancorati all’Europa e alle grandi famiglie politiche.

Può darsi che le opinioni pubbliche cerchino un riparo laddove gli alberi sono più forti, nel segno della storia e della rinascita dell’Europa. È questa – c’è da sperare – la battaglia del Pd, di Stati Uniti d’Europa, di Azione, di Forza Italia.

Giorgia Meloni dovrà fare una chiara scelta di campo che potrebbe costargli l’urto con Salvini. Ma la partita non è nelle sue mani. È nei partiti con la testa sulle spalle.

Incrociamo le dita.

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