La finta conversione dei filoputiniani diventati finti europeisti per un pugno di voti (linkiesta.it)

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I sovranpacifisti

Molti sovranisti e simpatizzanti di Russia Unita, a partire da Matteo Salvini e dal generale Vannacci, fingono di essere passati dalla parte dell’Ucraina perché dopo le Europee sognano di sedersi ai tavoli che contano

Sull’onda del mondo al contrario del generale Roberto Vannacci, Matteo Salvini pubblica un libro con il titolo non proprio originale “Contromano”. L’occasione editoriale fa fiorire le interviste anche sugli aspetti personali, dei quali francamente non ci frega nulla.

Sarebbe interessante invece per capire come sia passato dalla parte dell’Ucraina, un passaggio chiaramente ipocrita e del tutto contraddittorio con il fatto di essere stato l’unico esponete di un governo, in Europa, ad applaudire alla rielezione di Vladimir Putin.

Ma è chiaro il suo intento nelle sue due parti in commedia, condito dall’affermazione che il patto con Russia Unita non c’è più da quando i russi hanno invaso l’Ucraina (cosa che in questi due anni di guerra non mai detto in maniera così esplicita). Il suo scopo è di entrare nel dibattito per guidare l’Unione europea. Come Mario Sechi ha scritto già nel titolo dell’intervista al leader leghista pubblicata ieri su Libero.

Ecco allora la strategia del fu Capitano, che arranca per non farsi scavalcare alle Europee da Forza Italia: mai con Ursula von der Leyen, la candidata del Partito popolare europeo, ma disposto a far parte delle trattative per il nuovo governo europeo. Salvini lo fa sulla scia di Marine Le Pen, che ha virato, anche lei, verso una posizione moderatamente pro Ucraina.

Una parte dei sovranisti di Identità e Democrazia ha capito che solo prendendo fintamente le distanze da Mosca può essere ammessa al gran ballo di Bruxelles. Il bluff cade e cadrà quando si tratterà di sostenere il piano da cento miliardi lanciato dal segretario della Nato Jens Stoltenberg. Quando cioè si dovrà passare dalle chiacchiere e dalle dichiarazioni al concreto sostegno a Kyjiv.

E infatti, per stanare i due leader sovranisti, bisognerà chiedere loro già oggi fino a che punto sono disposti a sostenere il rafforzamento dei confini orientali e la capacità di deterrenza della Nato a trazione europea, compreso l’aumento della spesa per armamenti in modo da evitare che la possibile offensiva di primavera di Putin abbia successo.

Ai sovranpacifisti non si può lasciare margini di ambiguità. Non bisogna permettere di essere Giani bifronte nella campagna elettorale che entrerà nel vivo proprio in coincidenza dell’altra campagna, quella militare dei carri armati con la Z.

Le Pen ha chiesto pubblicamente a Giorgia Meloni di dire che non sosterrà mai von der Leyen, ricordando che in Italia l’unico che mai lo farà è Salvini. Bene, chiediamo alla leader del Rassemblement National di dire cosa farebbe su questioni specifiche, se eletta presidente della Francia al posto di Emmanuel Macron.

Se una volta all’Eliseo continuerebbe a partecipare agli incontri di Weimar con il tedesco Olaf Scholz e il polacco Donald Tusk che cercano, con tutte le contraddizioni del caso, di essere l’avanguardia europea contro l’offensiva russa, oppure farebbe asse con Orbán che quel piano da cento miliardi lanciato da Stoltenberg lo vuole bloccare? E dei defence eurobond che servirebbero a finanziare la difesa e la sicurezza presente e futura dei Paesi baltici e confinanti con la Russia, che ne pensa madame Le Pen che in Francia vola nei sondaggi?

Le stesse domande dovrebbero essere rivolte a Salvini che, oltre a battere le mani a Putin, osanna Donald Trump, antico avversario dell’Europa e amico di Nigel Farange, il protagonista della Brexit con il quale l’ex presidente americano coltiva ancora una personalmente amicizia – tanto che l’altro ieri gli ha fatto gli auguri di compleanno.

La campagna elettorale dovrà essere fatta sui temi che riguardano la sopravvivenza di un’Europa libera e non tremolante di fronte a Putin. Chiedendo ai candidati eccellenti della Lega, come lo sarà Vannacci (la scelta sembra fatta), quale sarebbe il ruolo di primo piano al quale ambisce in Europa perché a lui non piace fare la comparsa: «Non mi piace fare lotte ideologiche, sono una persona pragmatica».

Ora, essendo militare esperto di teatri guerra, la cosa più naturale è aspettarsi che nelle interviste (ieri sulla Stampa) parli della guerra in Ucraina, di come vede sul campo le truppe, cosa dovrebbe fare l’esercito di Kyjiv, l’Europa, l’Occidente, la Nato, appunto. Dovrebbe dare suggerimenti tecnici e politici visto che è stato addetto militare a Mosca.

Ma non lo fa, non lo può fare perché ha sempre parlato della Russia come la terra della sicurezza, di Putin come un grande statista, come per lui lo era Mussolini, perché vorrebbe la resa e non il Piano preparato dal segretario generale della Nato Stoltenberg.

Il possibile futuro europarlamentare leghista nelle interviste non viene incalzato sulle sue competenze. Vannacci parla contro l’ambientalismo ideologico, di auto elettriche, della sua che ha ventitré anni che con un litro di gasolio fa venti chilometri. Parla di statistiche che non rendono normali gli omosessuali, delle scuole dove «dobbiamo preservare la nostra identità: in migliaia sono morti sul Carso per tramandarcela.

Dobbiamo insegnare le radici italiane nelle scuole. In una classe tutta di stranieri è difficile insegnare l’italianità». Forse, al posto dei morti della Prima guerra mondiale sarebbe il caso di parlare di quelli di oggi.

È proprio il mondo al contrario, ma le Europee sono l’occasione per smascherare i finti sovranpacifisti che improvvisamente si sono convertiti sulla via di Kyjiv per uno strapuntino di potere a Bruxelles.

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