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A partire da un articolo che riporta i risultati di un singolo studio non ancora pubblicato,
spieghiamo una delle fallacie più frequenti quando si riporta la cronaca scientifica
Il 26 aprile 2024 su L’Indipendente è stato pubblicato un articolo dal titolo:
Secondo uno studio, una sostanza contenuta nei vaccini mRNA può “accelerare tumori e metastasi”
Articolo che, senza mai linkarlo, riporta i risultati di uno studio (non ancora) pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Biological Macromolecules. Il quotidiano fondato da Matteo Gracis riporta:
Secondo gli autori, una sostanza utilizzata all’interno dei vaccini ad mRNA – tra cui anche in quelli anti-Covid – potrebbe predisporre alcuni pazienti alla progressione del cancro e persino portare a scenari dove i rischi superano i benefici. Per questo, secondo i ricercatori, sarebbe «urgente condurre ulteriori ricerche sperimentali» ed evitare «studi clinici che utilizzino vaccini modificati al 100%» con tale sostanza.
Tutto corretto, ovvero quanto detto è quanto sostenuto nell’abstract dello studio, studio che però ad oggi non è ancora stato pubblicato – quindi è impossibile per noi leggerlo nella sua interezza e analizzarlo per capire di cosa si stia parlando esattamente. E il problema sta proprio qui: ad oggi è l’unico studio a riportare quanto riassunto da L’indipendente, e lo studio non è di pubblico dominio, anche se l’autore dell’articolo, Roberto Demaio, dice che loro hanno potuto leggerlo nella sua interezza.
Attualmente, a parte questa ricerca, non esiste nient’altro a sostegno di quanto riportato, in compenso troviamo scienziati come Helen M. Gunther dell’università del Queensland commentare lo studio con queste parole:
Pseudouridine is the most abundant naturally occurring RNA modification. Why would a transient spike in pseudouridine have any impact on cancer? I think that it’s prudent to approach any therapeutic with caution, but I am not convinced by the evidence that they present.
Sia chiaro, una critica non è sufficiente a smontarlo, ma come lo stesso abstract dello studio spiega è un’ulteriore conferma che quei dati non bastano a dimostrare alcunché, se non che sono necessari ulteriori approfondimenti sulla questione.
Siamo di fronte alla fallacia detta “Uno studio ha scoperto” (A study has found) descritta molto bene nel 2019 da Martin Cothran su Memoria Press. In pratica, ci spiega Cothran, la frase “uno studio ha trovato…” viene troppo spesso percepita con una gravità quasi religiosa, come se fosse prova provata di qualcosa. In realtà, spesso, questi studi sono inaffidabili a causa della natura intrinsecamente provvisoria della scienza e di pratiche di ricerca scadenti. Richard Harris ad esempio, nel suo libro “Rigor Mortis”, evidenzia come molti studi biomedici pubblicati siano errati a causa di procedure inadeguate, incentivi errati e vere e proprie frodi – tra gli altri problemi.
La crisi della replicabilità di questi studi è un problema significativo: in molti casi non si riescono a riprodurre gli stessi risultati, la ripetizione è considerata il golden standard per la ricerca scientifica. Purtroppo capita che i risultati degli studi continuino a essere citati favorevolmente anche dopo che non è stato possibile replicarli, contribuendo de facto alla condivisione di informazioni false.
Quando, invece che un singolo studio, saranno tanti studi a riportare la stessa scoperta, allora sì che avrà senso allarmare il proprio pubblico di riferimento, fino a quel momento si sta facendo una speculazione basata su dati che non sappiamo quanto possano essere affidabili. Vale ovviamente in un senso come nell’altro, come spiegato attentamente da Cothran e come qualsiasi altro ricercatore serio non avrebbe problemi a spiegare.
Non possiamo aggiungere altro, limitandoci a invitarvi alla lettura completa dello studio quando sarà pubblicato nella sua interezza.