di Mario Lavia
La bersagliera
Dalle candidature alle europee al referendum sul Jobs Act, fino alla irrituale mezza manifestazione a sorpresa del 2 giugno, la segretaria del Partito democratico porta avanti una linea massimalista in cerca dei voti post-grillini.
Meno male che Gentiloni c’è
Che la comunicazione interna del Partito democratico funzioni maluccio è cosa risaputa. Ma che un esponente di primissimo piano, non proprio del cerchio magico della segretaria, abbia dovuto apprendere dalle agenzie che il suo partito farà il 2 giugno una manifestazione contro il premierato e l’autonomia differenziata, beh, è abbastanza singolare. E la dice lunga su come ormai funziona quel partito. Però alla fin fine questi sono problemi loro.
La questione che invece riguarda tutti è un’altra: è giusto fare una manifestazione di partito nel giorno dell’unità nazionale, quello dei festeggiamenti della Repubblica di cui è gran regista Sergio Mattarella? Ovviamente i dirigenti del Pd eviteranno di tenere la loro iniziativa nelle stesse ore della parata ai Fori Imperiali, dove siederanno la segretaria, i capigruppo, qualche ex ministro, e dunque l’appuntamento dei dem si dovrebbe tenere al pomeriggio, se non sono matti. Rimedio così così, tuttavia.
Perché alla mattina vedremo Elly Schlein versione istituzionale a qualche sedia di distanza da Giorgia Meloni a omaggiare insieme, sotto lo sguardo del Capo dello Stato, l’anniversario della Repubblica, e qualche ora dopo i suoi la vedranno nelle vesti di battagliera leader della Resistenza al premierato.
Di lotta e di governo, si sarebbe detto una volta: addirittura nella stessa giornata!
Questo è solo l’ultimo episodio di una leadership che avanza senza farsi tanti scrupoli, magari al Quirinale non hanno gradito questa scelta di rompere il clima di unità che almeno il 2 giugno poteva ben reggere, ma l’occasione di una bella dimostrazione anti-Meloni a pochi giorni dal voto era troppo ghiotta.
Schlein sta andando avanti con il machete, tanto più che i sondaggi vanno bene: dalla scelta di mettere nelle liste due candidati contrari agli aiuti all’Ucraina come Cecilia Strada e Marco Tarquinio, sino alla firma del referendum vendicativo della Cgil contro il Jobs Act, la numero uno del Pd sembra scatenata.
Ha poi preso la bandiera della lotta contro il premierato sottraendola a un Giuseppe Conte in questa fase piuttosto evanescente (quanti voti riuscirà lei a portare via a lui?), quel premierato che verosimilmente sarà il focus principale del duello televisivo con la presidente del Consiglio.
L’ulteriore virata a sinistra impressa dalla segretaria è evidentemente frutto della convinzione che i voti siano lì, tra i post-grillini, in attesa di ritornare a casa dal partito-Ditta e può anche darsi che abbia ragione, sapendo però che non tutti sono disposti a portare il cervello all’ammasso gauchista.
Al Nazareno non sono sfuggite in questo senso le varie dichiarazioni di Paolo Gentiloni, critico sia sulla totale perdita di iniziativa del partito sull’Ucraina per non scontentare l’ala Strada e Tarquinio, sia sull’adesione della segretaria al referendum su quel Jobs Act che Paolo Gentiloni approvò da ministro del governo Renzi (assieme ad altri, all’epoca entusiasti, che ora fischiettano. Eccezione: Marianna Madia).
Ma non è questo il momento per discutere della linea. Nel Pd c’è una sola donna al comando.