La Crimea è la chiave per fermare l’aggressione russa all’Ucraina (linkiesta.it)

di

Il prossimo anno a Bakhchysarai

La riconquista della penisola occupata illegalmente dal Cremlino nel 2014 è uno dei primi obiettivi di Kyjiv in questa guerra. Un brano tratto da “L’Ucraina siamo noi”, pubblicato da Linkiesta Books

« Il prossimo anno a Bakhchysarai » è il modo di concludere, con una variante ucraina del tipico saluto ebraico del seder di Pesach, una cena di tradizionale cucina tatara di Crimea a Kyjiv.

Bakhchysarai è la storica ex capitale di Crimea venerata dalla popolazione autoctona dei tatari, e l’invocazione « il prossimo anno a Bakhchysarai » è un modo per mostrare fiducia nel fatto che il prossimo anno si potrà festeggiare la fine della guerra di aggressione russa proprio nella regione occupata illegalmente dal Cremlino nel 2014.

Una discussione intellettuale a Kyjiv sulla guerra e sulla pace comincia sempre con l’attualità, magari ricordando i diciassette morti al mercato a Kostyantynivka, nella regione di Donetsk, oppure scambiandosi impressioni sulle due ore trascorse la notte precedente nei rifugi antiaerei, che poi non sono rifugi ma semplici sotterranei, o semplicemente a casa con i tappi alle orecchie per continuare a simulare una vita normale. Ma poi arriva inevitabilmente la Crimea, la regione simbolo dell’imperialismo russo, dei crimini contro l’umanità e dell’indifferenza dell’Occidente.

La Crimea è la chiave di volta per ribaltare la guerra russa alla democrazia, alla cultura e alla libertà ucraina, ma è anche il tabù occidentale che perfino gli europei simpatetici alla causa ucraina pensano si possa sacrificare in nome della pace.

In mezzo c’è un non piccolo problema umanitario e giuridico, quello dei tatari di Crimea, la popolazione autoctona che a partire dal 1991, anno dell’indipendenza ucraina, è tornata in patria prendendo la cittadinanza ucraina dopo che i russi avevano provato a cancellarla con una ferocia addirittura superiore a quella usata contro gli ucraini.

Prima della prima invasione russa della Crimea, nel 1783, i tatari rappresentavano il novanta per cento della popolazione della penisola, poi sia Caterina di Russia sia Stalin decisero la loro rimozione forzata e la loro conseguente ricollocazione forzosa in Asia centrale, prevalentemente in Uzbekistan.

Stalin, inoltre, deportò centinaia di migliaia di russi in Crimea per farla diventare artificiosamente russa. Per effetto di questa politica imperialista e genocida, i tatari di Crimea scesero a quota 29 per cento della popolazione prima della Rivoluzione d’ottobre del 1917, per precipitare fino allo zero per cento in seguito all’esecuzione completa delle politiche staliniane.

Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, molti tatari sono tornati in Crimea e si sono integrati nella Repubblica ucraina, tanto che il nuovo ministro della Difesa, Rustem Umierov, è proprio un tataro di Crimea ( un altro segnale che la Crimea resta centrale nell’agenda politica e militare di Volodymyr Zelensky nonostante i giornali italiani sostengano il contrario ). Con l’invasione russa del 2014, e con la successiva annessione illegale della Crimea, Vladimir Putin ha ripreso in mano il progetto zarista e staliniano di oppressione e di pulizia etnica dei tatari ed è tornato a perseguitare la popolazione autoctona che nel frattempo è tornata a essere circa il 20 per cento, e poi a ricollocare in Crimea centinaia di migliaia di russi – le cifre, in questo caso, variano tra le cinquecento e le ottocentomila persone – con un impatto etnico devastante ( specie se si considera che la popolazione complessiva della Crimea era, prima del 2014, di poco più di due milioni e trecentomila abitanti ), che ha innescato la fuga verso la Turchia e verso l’Ucraina continentale di circa duecentomila tatari tra il 2014 e il 2023.

Putin ha affinato il piano di Stalin con il ponte sullo stretto di Kerch, costruito per collegare artificialmente alla Russia una penisola geograficamente e politicamente attaccata all’Ucraina.

La pulizia etnica si è intensificata dopo l’invasione su larga scala cominciata il 24 febbraio del 2022, al punto che la maggior parte dei prigionieri politici in Crimea oggi è composta da tatari, i quali a volte sono colpevoli soltanto di essersi dipinti le unghie con i colori giallo e blu della bandiera ucraina oppure di aver indossato la vyshyvanka, il tradizionale vestito ucraino ricamato, e per questo vengono condannati a diciassette anni di galera sulla base di un articolo del codice penale russo che punisce chiunque getti discredito sull’esercito di Mosca.

La riconquista della Crimea è una delle questioni centrali al Ministero della Difesa e degli Esteri, ma anche al quartier generale del presidente Zelensky, il quale ha creato un team di giuristi, militanti dei diritti umani, avvocati e diplomatici per prepararsi al momento in cui avverrà la liberazione della penisola occupata illegalmente.

« Non commento le scelte militari, non posso dire quale avanzamento sul campo di battaglia potrebbe convincere i russi ad abbandonare la Crimea », dice Maria Tomak, il capo di Crimea Platform, la piattaforma di consultazione e di coordinamento internazionale lanciata dall’Ucraina con l’obiettivo di far finire l’occupazione della Crimea e di farla tornare pacificamente alla terraferma cui è legata naturalmente. « La cosa certa », aggiunge, « è che l’Ucraina non abbandonerà mai i suoi concittadini che vivono nella penisola occupata illegalmente e in particolare la popolazione autoctona dei tatari di Crimea da sempre oppressa dai russi ».

La sede di Crimea Platform, e della Missione del presidente dell’Ucraina nella Repubblica autonoma di Crimea, si trova a un passo dalla Verkhovna Rada, dal Parlamento ucraino, nella zona fortificata di Kyjiv che abbiamo visto molte volte in televisione accogliere i capi di Stato occidentali in visita di rito nella capitale.

Si trova a pochi minuti a piedi dal mausoleo dell’Holodomor, costruito dall’Ucraina indipendente per ricordare il male assoluto compiuto con la pianificazione sovietica della carestia dei contadini ucraini negli anni Trenta, ma anche negli anni Venti e Quaranta del secolo scorso. E accanto c’è il monumento sovietico alla vittoria nella Seconda guerra mondiale che ricorda il sacrificio ucraino nella lotta contro il nazifascismo.

La zona governativa si trova nel quartiere di Pechersk, nella parte alta della città, quella più elegante e monumentale. Vi si accede dopo aver superato posti di blocco, dissuasori di cemento armato e altre forme di difesa da barricata, gli unici segni di guerra che si vedono nella capitale. Superati i primi controlli, una volta dentro è vietato fotografare i palazzi presidenziali. La cautela è comprensibile benché per arrivarci si attraversi con serenità una città aperta e libera.

Il fatto che il dossier Crimea sia gestito a un passo dai luoghi di maggior potere è un’ulteriore risposta a quelli che fantasticano di una soluzione diplomatica che possa lasciare la Crimea alla Federazione russa.

La rappresentante di Zelensky per la Crimea, Tamila Tasheva, conferma la policy ufficiale del governo. La stessa che Olexander Scherba, ambasciatore responsabile della comunicazione, ribadisce essere quella del Ministero degli Esteri: «La vittoria deve essere totale ».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *